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Toro

Regia di Aleksandr Sokurov vedi scheda film

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La recensione su Toro

di jek
8 stelle

TAURUS ovvero la visione di Sokurov.

 

Persino il titolo mi da l’impressione di potenza, ma di una potenza immobile, come immobile è il cinema di Aleksandr Sokurov. Le sue visioni sono sublimi e a volte ricordano il fragore delle immagini di Ejzestein, così scultoree, ma così bidimensionali, inesorabilmente rivolte alle spalle, al passato. Una negazione del futuro, un rifiuto della morte attraverso l’immobilità.

Quando sento la lingua russa nei film di Sokurov, mi sembra un idioma antico, e se penso all’inglese mi viene in mente un antico modo sorpassato e anacronistico di pensare al futuro. In Taurus la situazione fa sembrare il personaggio di Lenin umano nelle sue deficienze e il cameo di Stalin ridicolo, ma i primi piani prendono da dipinti e statue e ne figurano la semplice staticità.

I film di Sokurov sfuggono ai 16:9 o ai 4:3, sembrano schiacciati come i loro personaggi ammorbati dalla storia che hanno costruito e di cui sono vittime. In fondo tutti i film del regista russo sono delle biografie che ti proiettano in una storia di cui hai sentito e letto e che ora vivi. Ci sono dei maestri che si fanno ricordare a colori seppur girando in bianco e nero, mi viene in mente “I 7 samurai” di Kurosawa o “America” di Griffith, mentre costui ha una visione in bianco e nero sbiadendo i colori nei ricordi. I suoi film si guardano come seguendo un sentiero difficile, camminando storti, concentrandosi per non inciampare, le prospettive delle riprese sono tutte sbagliate, ritorte su se stesse, non solo geometricamente o nel taglio, ma nell’umanità della sua Storia. Il punto cruciale, quando il protagonista chiede chi sia il personaggio che lo è venuto a trovare e la donna ne mormora il nome alle orecchie, il protagonista afferma che (Stalin) è un nome cupo “perché abbiamo tutti dei nomi cupi? Kamenen, Rikov, Molotov, ma chi vogliamo spaventare?” L’unica funerea concessione ad un futuro che però è già trascorso, leggermente, ma tragicamente morettiana, senza un adito di humor.

Può sembrare una recensione negativa, ma in un cinema immobile come quello presente, Sukorov non ci illude con delle novità fittizie ma con una diversa immobilità, un punto di vista che non mi sento di condividere, ma che si rivela prezioso come l’arrivare in fondo a quel sentiero così accidentato: se rimarremo in piedi non troveremo un illusione di paradiso, ma un oasi reale nel deserto che ci permetterà di sopravvivere.

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