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Soy Cuba

Regia di Michail K. Kalatozov vedi scheda film

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La recensione su Soy Cuba

di Inside man
10 stelle

Confesso di aver avuto bisogno anch'io di un paio di visioni per dirimere le riserve sul presunto propagandismo esplicito di Soy Cuba.

Rimane un film di denuncia politico-sociale dal forte afflato (anticipatore in questo di alcune pellicole "pro-rivoluzionarie" anni sessanta a cominciare da "La Battaglia di Algeri"), schierato in maniera evidente senza sconfinare nel manicheismo, tant'è che in pieno clima da guerra fredda scontentò un po' tutti alla sua uscita finendo colpevolmente dimenticato.

Gli elementi più puramente ideologici vengono infatti abilmente mitigati già in sede di scrittura (mantenendo fede alla verità storica di un’adesione totalizzante al comunismo avvenuta solo dopo la fine della rivolta popolare guidata da Castro e Guevara), e il soggetto viene saggiamente concluso nel momento della vittoria dei campesinos, evitando così ogni accenno al principale vulnus dei regimi comunisti dell’epoca: l’elusione di qualsiasi istanza politica d’ordine democratico.

 

Chiarito questo aspetto, Soy Cuba emerge quale opera di rara potenza espressiva e non comune creatività registica in cui si fondono omogeneamente tante correnti teoriche per molti versi antitetiche, dal neorealismo di Rossellini alle lezioni avanguardiste di Ejzenstejn e Epstein.

Il ruolo primario assunto dagli ambienti (paesaggi naturali e architetture urbane), viene vivificato, sull'onda delle suggestioni de "L'infanzia di Ivan", da una peculiare resa fotografica a metà strada tra realismo ed espressionismo cosicché la raffigurazione dell’ambivalente rapporto di integrazione/isolamento tra uomo e territorio cubano dà vita a un naturalismo panico friedrichiano degnissimo erede del Dovzenko di "La terra" e lungimirante progenitore del Sokurov di "Madre e figlio", mentre l'innovativo utilizzo degli elaborati piani sequenza su dolly, diegeticamente concatenati fra loro, sarà sicura fonte d'ispirazione formale per Jancso, Anghelopoulos e seguaci.

 

Che si trovi tra i palazzi dell’Avana, i campi di canna da zucchero o all’interno della Sierra Madre, Kalatozov orchestra con lirica perfezione sia le imponenti scene di massa che le peregrinazioni solitarie dei vari personaggi (ineccepibilmente interpretati da attori non professionisti), e firma dunque un’opera (su commissione!) ricca di contaminazioni formali e capace a sua volta di fecondare parecchi autori a venire, oggi più che mai sorprendente nella sua modernità, un vero e proprio snodo nella storia della cinematografia sovietica (e non solo) insieme al folgorante esordio di Tarkovskij del 1962.

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