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Ghost. Fantasma

Regia di Jerry Zucker vedi scheda film

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La recensione su Ghost. Fantasma

di gerkota
6 stelle

Il paradiso può attendere (ricordate il bel film con un Warren Beatty in forma smagliante?). Perché il buon Sam, assassinato a causa della cupidigia del suo ‘migliore amico’, prima di trasferircisi definitivamente, in paradiso, deve tirare fuori dai guai l’adorata Molly. Insomma, se l’amore è così forte da averla vinta contro la morte, ecco che si può finire col ballare un ‘lento’ fra le braccia del fidanzato fantasma in un loft di una New York non ancora traumatizzata dall’attacco alle Torri Gemelle. Talmente buono costui – pure troppo – che nell’aldilà è subito assurto senza test d’ammissione al rango di angelo che osserva con superiorità i comuni mortali e con compassione i cattivi che si trasformano in inquietanti diavoletti neri inghiottiti dalle fiamme e dagli orrori dell’inferno. Gli spettri esistono, insomma, e come si dice, restano tra noi finché non trovano pace e, perché no, vendetta.

 

Questo ed altro in Ghost – Fantasma dello statunitense Jerry Zucker (quello che nel 1980 fece ridere mezzo mondo con lo spassosissimo, demenziale L’aereo più pazzo del mondo), autentico cult d’inizio anni Novanta, grazie anche a una colonna sonora (Maurice Jarre) che con lo storico brano Unchained Melody, nella versione (1965) dei Righteous Brothers, negli anni a seguire ha fatto da sottofondo perfino ai matrimoni. Pellicola però deboluccia in vari settori dell’impalcatura ma in grado di coinvolgere ed emozionare il pubblico come di rado avviene di fronte al grande schermo. A dieci anni esatti di distanza il regista di Milwaukee anziché alle grasse risate in alta quota sceglie di ricorrere alle traboccanti lacrime di cuori inconsolabili in un’osmosi continua e un po’ approssimativa fra realtà e paranormale. Con la scusante che gli effetti speciali del 1990 non erano certo quelli dell’anno in cui scriviamo.

 

La storia c’è e reggerebbe anche, per l’efficacia dello script da Oscar di Bruce Joel Rubin. Ma il sentimentalismo è usato davvero in dosi stucchevoli. Questo eccesso di caramello è personificato, in particolar modo, da una piagnucolona Demi Moore, mai così lontana dalla battagliera marine di Soldato Jane o dalla spudorata donna in carriera di Rivelazioni, solo per fare un paio d’esempi. La sua addolorata scultrice è così passivamente travolta dagli eventi che quando finalmente, ogni tanto, si ribella risulta poco credibile. Anche il co-protagonista fantasmatico, affidato alla recitazione del compianto Patrick Swayze, per quanto determinato nel portare a termine la propria missione dell’altro-mondo, resta fino alla fine recintato in uno schema di bontà che, a un certo punto, fa temere che possa concedere amnistia a chi gli ha devastato la vita. Per fortuna fino a questo punto la storia non ci arriva.

 

Ma il punto di forza di Ghost è certamente la prova - premiata con l’Oscar come miglior non protagonista - di una straripante Whoopi Goldberg. Inconsapevole e straordinaria medium, la sua Oda Mae Brown a un certo punto della narrazione filmica prende letteralmente in mano il timone e veleggia, seguita dal resto dei personaggi, verso la conquista della platea. Una vera mattatrice. Il villain interpretato dall’opaco Tony Goldwyn appare più spaventato di quelle che dovrebbero essere le sue vittime.

 

Il film comunque è consigliato ai pochissimi che non l’abbiano visto almeno una volta. Voto 6,6

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