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La sposa cadavere

Regia di Tim Burton, Mike Johnson vedi scheda film

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La recensione su La sposa cadavere

di FilmTv Rivista
8 stelle

Nel film, che già dal titolo rimanda al corpo, Burton ha effettuato una straordinaria operazione chirurgica, affondando il suo speciale bisturi affilato dal grande amore per il cinema, dritto al cuore dello spettatore e del cinefilo più incallito. La sposa cadavere è un viaggio attraverso il cinema e i suoi generi, un crocevia in cui il mélo, il musical, l’horror e la commedia si mescolano in un cocktail di rara misura. Già nei nomi dei due protagonisti, Victor/Victoria, Burton pare richiamare il musical di Blake Edwards e la fisiognomica - così simile - dei due personaggi, sembra rimandare alla coincidenza tra individuo e la sua maschera, tema centrale di quelli interpretati dalla Andrews, e poi si avverte la presenza di iVia col vento e di tanto altro ancora. La storia nasce da una fiaba “nera” russa che si ispirava a tragici fatti reali, quando durante i matrimoni ebraici la sposa veniva spesso rapita, violentata e infine uccisa da bande di assassini antisemiti. Victor, figlio di una borghesia in cerca di pedigree, deve sposare la bella e diafana Victoria che appartiene a un’aristocrazia ormai in rovina. Il matrimonio combinato dovrebbe accontentare le aspirazioni degli uni e le necessità degli altri, ma i due si innamorano per davvero e un Victor imbarazzato sbaglia le prove del matrimonio e per la vergogna fugge nel bosco. Qui prova ancora la formula del giuramento nuziale e infila l’anello a quello che crede un semplice ramo, mentre è il dito scarnificato di una di quelle spose cadavere che il suo giuramento riporta in vita. Victor si trova quindi sospeso tra due mondi, quello dei vivi e quello dei morti, il primo allegro come un musical hollywoodiano ambientato in una scenografia fantastica alla GaudÍ e il secondo cupo come un film della Hammer. Gli amori del regista vengono subito in superficie, a partire da quella minuscola citazione in cui la marca del pianoforte che Victor suona all’inizio del film è Harryhausen, come Ray, il grande sviluppatore della tecnica di animazione stop-motion che Burton e i suoi collaboratori hanno portato a un livello di perfezione sublime. Nel suo musical di Spoon River, che ricorda la “skeleton dance” disneyana e gli scheletri duellanti de Gli argonauti, Burton si concentra sull’amore, sul cuore che batte e sul vuoto delle pene d’amore che fa male. Questo vale sia per i vivi che per i morti e viene sottolineato da un finale in cui, come direbbe Meister Eckhart, i due mondi si incontrano e essere vivi e essere morti è la stessa cosa.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 44 del 2005

Autore: Fabrizio Liberti

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