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Il gatto a nove code

Regia di Dario Argento vedi scheda film

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La recensione su Il gatto a nove code

di DeathCross
7 stelle

L’opus n.2 di Argento, dopo l'ottimo esordio con "L'Uccello dalle Piume di Cristallo", è ancora un giallo, secondo tassello della trilogia detta “degli Animali”.

 

Seppure inferiore al precedente (per non parlare dei successivi Capolavori), la pellicola risulta assai godibile e preziosa per capire l'evoluzione stilistica del grande Maestro romano. Anche qui, infatti, si possono trovare numerosi elementi che l'Autore riprenderà, approfondirà e perfezionerà nel corso della sua brillante carriera (prima del tragico tracollo a cavallo del millennio): innanzitutto la figura del Cieco, che qui riveste un ruolo insolitamente centrale (come in "Macabro" di Lamberto Bava); ritroviamo inoltre l'attenzione (ossessione?) del regista verso l'omosessualità (qui solo maschile), mostrata sia sotto una luce quasi caricaturale (il bar gay) che in una luce più drammatica (l'informatore geloso); immancabili le soggettive dell'assassino mentre scruta le sue prede, intermezzate dal particolare sull'occhio frenetico del killer, elemento che ritornerà, per esempio, in "Opera" (dove l'occhio inquadrato apparterrà invece alla protagonista sottoposta a tortura); altri elementi stilistici caratteristici del buon vecchio Dario qui presenti sono la rappresentazione (leggermente) ironica della polizia, la scelta di civili (un giornalista e un cieco) come risolutori del caso, numerosi strangolamenti, una testa battuta per terra e il finale in ascensore (con modalità assai diversa rispetto a "Profondo Rosso", ma già Argento ci stava pensando, probabilmente), e inoltre la conclusione del film con la voce della bambina che chiama lo zio cieco ("Biscottino!") seguito dal brusco fermo-immagine su cui scorrono i titoli di coda.

 

Vuoi per la scelta di un personaggio marginale come killer (senza provocare quell'effetto sorpresa spiazzante come in "Profondo Rosso"), vuoi per il tono un po' troppo leggero, quasi ingenuo, della narrazione, l'assenza di scenografie memorabili (confrontate con "Suspiria"), questa pellicola non può certamente collocarsi tra le migliori opere del Grande Regista romano: lo stile di Argento è ancora acerbo, e inoltre le ottime musiche di Morricone non sono perfettamente allineate con la personalità dell'allora giovane regista. In ogni caso, la non eccezionalità di quest'opera è più che comprensibile, essendo il regista ancora in una fase di formazione e di sperimentazione che lo porterà, nel giro di cinque anni, a diventare uno dei Maestri del Cinema Italiano più apprezzati all'estero.

 

Nel complesso, dunque, ci troviamo di fronte ad un giallo all'italiana godibilissimo e interessante, essenziale per approfondire la conoscenza della personalità artistica del grande Dario Argento.

 

Voto: 7-8

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