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La fabbrica di cioccolato

Regia di Tim Burton vedi scheda film

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La recensione su La fabbrica di cioccolato

di ROTOTOM
6 stelle

Tim Burton è fatto di cioccolato, da sempre credo, di quello nero fondente al 99% che regala sensazioni contrastanti, acide e morbide insieme, retrogusti amari e dolcezza in punta di lingua. Il suo cinema è cioccolato, di quello a blocchi duri da rompere col martello per gustarne qualche scaglia irregolare, tagliente a volte. La favola del cioccolataio immerso nella sua fabbrica-fortezza d'acciaio, gotica come una cattedrale che potrebbe benissimo essere in periferia di Gotham City, è invece puro cioccolato al latte dall'involucro colorato. Tratto da una celebre fiaba per bambini e remake di "Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato" con Gene Wilder, qui è un istrionico, clownesco e ambiguo Johnny Depp a guidare un gruppo di bambini moderni, competitivi e viziati (tranne uno, povero sfigato e felice), caratterizzati fisicamente fino allo stereotipo, all'interno dello stabilimento che si rivelerà un autentico paese delle meraviglie di fiumi di cioccolato, erba commestibile, intere montagne dolci e decine di surreali invenzioni visive. Il paragone con il classico di Lewis Carrol non è azzardato, sembra rimandare direttamente a quella fantasia fanciullesca, ornata di nani ballerini e animali tuttofare ma altrettanto infido e sottilmente crudele nei confronti dei bambini-mostro che dell'agognato paese di zucchero, rimando implicito ad "Hansel e Gretel", troveranno per la più classica delle leggi del contrappasso la punizione ad hoc per i loro "peccati". Senza infierire però, cioccolato al latte, si diceva, per quanto sia bellissimo dal punto di vista visivo, tutto l'impianto resta in supericie mancando di quel cinismo plumbeo che ha sempre caratterizzato le prove di Burton. Il primo tempo serve a spiegare la storia e introdurre il piccolo protagonista, il bambino povero ma felice, al mistero che si cela dentro la fabbrica, per poi perdersi nel secondo tempo in un lungo passaggio di stanze in stanze assurde e geniali, certo, ma fini a loro stesse. Sottile come un filo di caramello fuso è la storia che tiene insieme il tutto, rischiando di spezzarsi da un attimo all'altro, non fosse per l'unico vero momento burtoninano nel ricordo di Willy del sè bambino, schiavo di un padre-dentista-padrone nemico dei dolci e imprigionato in un enorme, grottesco, nero e deformante apparecchio per i denti. Il film si dilunga poi nell'annacquato finale, morale della famiglia vecchio stampo che vince su tutto nonostante tutto e con il trionfo dei buoni sentimenti a discapito degli archetipi famigliari moderni forgiati sull'arroganza, l'apparire e la violenza. Non è dato sapere quanto di tutto questo sia il coscientemente voluto e quanto il clamorosamente mancato, quanto Depp sia smorfieggiante e ammiccante un po' sopra le righe per scelta artistica o per mancanza di una solida sceneggiatura, altro punto dolente. Che sia un film per bambini lo si intende quasi subito, all'entrata della fabbrica, per la precisione, dopo un incendio di un gigantesco carillon di benvenuto per i piccoli ospiti, incendio voluto e che sottintende la reale indiosincrasia del cioccolataio verso i bambini e insinuato dal primo piano di un pupazzetto in fiamme che perde un occhio. Altro momento burtoniano puro. Da quel momento in poi la storia si palesa e la rinuncia a scendere nella profondità dei personaggi ne è necessaria conseguenza, accontentandosi di rimanere nella superficiale coerenza stilistica degli stereotipi disegnati con pennarelli grossi che si muovono nell'assurdo incomprensibile mondo di Willy Wonka. Si perde un po' il senso del tutto durante il film e si vagheggia dalla magnificenza delle scenografie, delle singole trovate fantasiose se scontornate dal resto della pellicola, della regia senza picchi di particolare interesse messa al soldo della storia che deve raccontare, alla sensazione di assistere ad una elaborata fiaba per bambini dolciastra e zuccherosa nella quale nessuno, realizzatori compresi, si sia fermato un secondo a chiedersi il "perchè dell'assurdo onirico", come tale è stata concepita la storia, fidandosi della fanciullesca battuta del protagonista che, paradossalmente sembra scusare tutti, dicendo "ai dolci non si chiedono spiegazioni". Se su questo postulato è stato costruito il film, allora non posso essere che d'accordo.

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