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Christiane F. Noi i ragazzi dello zoo di Berlino

Regia di Uli Edel vedi scheda film

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La recensione su Christiane F. Noi i ragazzi dello zoo di Berlino

di Genga009
8 stelle

Viene definito “libro di un'epoca”, “pugno allo stomaco”. Storia vera!

Storia di una realtà passata i cui echi attraversano ancora il nostro tempo, le strade e i quartieri delle città dove viviamo. Un mondo apparentemente invisibile, che tra gli anni Settanta e gli Ottanta ha distrutto una generazione. Quest'opera in particolare ha il merito di aver cambiato radicalmente la mentalità, l'approccio della gente in generale riguardo il fenomeno della droga. Non tanto dal punto di vista del suo spaccio, della distribuzione, delle modalità di circolazione, della sua economia e i suoi mandanti, quanto più sul lato fisico e psicologico di chi la consuma, ovvero di chi attraversa tutto quel percorso - il tunnel - che si sviluppa tramite piacere, assuefazione, dipendenza e, talvolta, si conclude con la morte.

La vita che conducono, le azioni che compiono e gli atteggiamenti che caratterizzano i protagonisti del film fanno ribrezzo non tanto per ciò che sono, anche se questo è e rimane un punto di vista esclusivamente soggettivo, quanto per l’età di coloro che ne sono soggiogati, piegati, sottomessi. Le prove attoriali nel lungometraggio sono notevoli ed esaltano i lati drammatici delle vicende, le riflessioni introspettive di Christiane. Ogni punto di vista riguardo i temi dell’opera divengono unilaterali con lo scorrere delle immagini, con la mutazione dei personaggi. Non cambiamento, bensì mutazione. Ciò che si spiega del tutto, servendosi di sequenze esplicite, crude e violente se si vuole, è come l’eroina abbia la spaventosa capacità di depersonalizzare, alterare un suo consumatore: depersonalizzare secondo le meccaniche della sostanza, per cui, arrivati ad un certo punto, si diventa “zombie”, come si descrive nell’opera stessa; alterare, invece, attraverso il processo della dipendenza, la quale porta la vittima a perdere totalmente l’autocontrollo pur di cercarsi una dose (spaccio, furto, prostituzione, ecc).

 

 

 

 

Seguendo la narrazione ci si immerge nella Berlino Ovest di Christiane, quella dello zoo, di Bowie, del retro della stazione, del Sound e delle case occupate. Una tredicenne che viene a conoscenza di decine di novità, costruttive o distruttive che siano, in un brevissimo lasso di tempo e con l’ingenuità tipica dell’adolescenza cade facilmente nel vizio, anche perché non sorretta da una situazione familiare ottimale. Il vizio, in questo caso il peggiore che ci sia, l’eroina, attua un sistema assai pericoloso chiamato “atto apparente”: un soggetto viene a contatto con una qualsiasi cosa che dia dipendenza, che sia una sostanza o anche la televisione o un videogioco, e più si impone cercando di controllare la sua voglia, più essa si trasforma in necessità. L’esempio più calzante è sicuramente quello del fumo. L’attivo che diventa passivo senza rendersene conto. L’apparenza del piacere che non è più data naturalmente ma artefatta, generata esternamente il nostro corpo.

Poche volte mi sono visto mettere in scena situazioni del genere con tanta freddezza, proprio con l’idea di trasmettere questo messaggio, che poi è quello che ho recepito io stesso: la vita è composta da scelte, alcune da prendere da soli, altre con l’ausilio di una figura guida. Se essa viene a mancare o non c’è mai stata, l’esistenza di questa persona sarà sempre e solo un percorso verso l’autodistruzione poiché verrà seguita solo in parte con giudizio. La figura guida può essere un’altra persona, lo Stato, Dio o semplicemente se stessi.

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