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Giliap

Regia di Roy Andersson vedi scheda film

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La recensione su Giliap

di mm40
4 stelle

Un ragazzo prende servizio come cameriere in un ristorante di lusso ove per il personale vigono regole ferree. Non vede l'ora di andarsene, così come la bella collega Anna, che attende l'estate per trasferirsi a lavorare al mare. Fra gli altri, il giovane qui conosce Gustav, detto 'il conte', che lo soprannomina Giliap e lo convince a prendere parte a un rapimento. Nel frattempo sboccia l'amore con Anna.

 

L'esordio con A swedish love story (1970) aveva fatto ben sperare; su Roy Andersson, per questo secondo film, si riversarono perciò immense aspettative. Giliap nacque con la luna storta: una sceneggiatura - del regista stesso - dai pochi punti vivi, iperrealista al punto da rifiutarsi di avere una morale o un punto centrale del discorso; uno stile sempre più avvezzo a campi/controcampi che ai movimenti di macchina (a proposito: questi in Giliap saranno i suoi ultimi movimenti di macchina per l'intera carriera), che abolisce tassativamente le musiche e che insomma non fa nulla per accattivarsi le simpatie dello spettatore; un ritmo talmente blando che Ingmar Bergman al confronto sembra un regista d'azione; ma soprattutto Giliap ebbe una nutrita serie di problematiche a livello economico, con budget sforati a ripetizione e conseguente etichetta, su Andersson, di regista costoso e incapace di ripagare gli sforzi produttivi. Il terzo lungometraggio per lui arriverà solamente un quarto di secolo più tardi (!), ma sarà un capolavoro: Canti dal secondo piano (2000), preceduto negli anni solamente da lavori pubblicitari e cortometraggi. Il problema è antico quanto il mondo, almeno il mondo dell'arte: il creativo è davvero libero di fare ciò che vuole? La risposta è sempre e comunque no: Giliap è un compromesso impossibile fra la perfezione maniacale di un genio (e Andersson lo è, sebbene qui - appunto - difficilmente possa intuirsi) e la necessità concreta, materiale di realizzare un prodotto da distribuire nelle sale cinematografiche entro un certo tempo e rimanendo in determinati costi. Il brutto di questa pellicola è che i primi tre quarti della storia sembrano del tutto buttati a casaccio (e pensare che il regista, conoscendolo, deve averli calcolati al millimetro); se Giliap cominciasse a un'ora e mezza dal suo reale inizio, sarebbe lo stesso identico film. A parte la durata, ovvio. L'unica scena capace di impressionare positivamente è quella del rapimento, che rassomiglia molto da vicino al cinema monicelliano, non solo de I soliti ignoti: alle imprese balorde delle squinternate, improvvisate bande di antieroi della commedia all'italiana. Per il resto, deludente finale incluso, Giliap merita la fama di film malriuscito, male assortito, e per capire cosa Andersson davvero intendesse dire bisognerà attendere 25 anni. Truffaut non avrebbe esitato un secondo a definirlo 'grande film malato'. Bravo comunque il protagonista Thommy Berggren, come le due principali figure di contorno Mona Seilitz e Willie Andreason. Curiosamente però la vera star fra i nomi del cast è un'altra, in questa occasione: la diciassettenne al debutto Pernilla August, naturalmente ancora del tutto sconosciuta. 4/10.

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