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Storytelling

Regia di Todd Solondz vedi scheda film

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La recensione su Storytelling

di mm40
9 stelle

Todd Solondz è un genio e non c'è altra parola per definirlo. I suoi racconti sono incisivi, caustici, precisissimi e affilati come bisturi, racconti di un'ordinaria deformità morale e psicologica che si nasconde (e lo fa molto bene) sotto una spessa coltre di formale, ma apparente normalità, nel sottobosco della provincia bianca americana. E sono film che lasciano storditi, inorriditi, esaltati e pieni di fantasie, perché la quotidianità narrata anche in questo Storytelling è tutt'altro che placida o rassicurante, è anzi brutale, invereconda, mai riconducibile a una qualche logica, soprattutto a quelle dell'odierno cinema 'mainstream': 'non-fiction' - titolo del secondo segmento della pellicola, di contrasto con il primo intitolato 'fiction' - è davvero il termine adatto per le sceneggiature firmate (come avviene anche in questo Storytelling) da Solondz. E se i personaggi e le situazioni sono quanto di più credibile l'America odierna produca, ecco che alla faccia del cinema hollywoodiano multimiliardario il regista qui si diverte, con mezzi pochi e idee tantissime, a rivoltare la definizione comunemente accettata di famiglia (e in questo pure Happiness, del 1998, la diceva lunga), a puntare il dito, facendo sarcastiche spallucce, contro il Male che si cela nella mediocrità dell'abitudinario quotidiano; il pessimismo di fondo che non abbandona mai Solondz è in questo film sogghignante fra le trame imperscrutabili dell'impassibile destino (=caos). C'è una possibilità su un milione che il figlio dei Livingston esca dal coma: "Papà, e se lui fosse quell'uno?"; "Ottimismo e stupidità sono divisi da una linea sottile". Non è Woody Allen: è molto più crudele, cinico e disperato, ma meno raffinato senz'altro - anche se passaggi come "Borges era cieco? Bè Updike ha la psoriasi" sono innegabili tributi al Maestro newyorchese. Razzismo, antisemitismo, omofobia, misoginia sono propellenti della rabbia sociale che pervade e devasta i conformistissimi Stati Uniti; la realtà ha superato da tempo la fantasia, certo, ma la fantasia ha sempre delle armi in più per risultare credibile, che la realtà purtroppo per lei non ha. Ogni volta che un racconto ha inizio, la realtà scompare e viene azzerata: tutto ricomincia daccapo, tutto può succedere; ma non si può in definitiva esprimere una preferenza decisa tra fiction e non-fiction: questo ci dice Storytelling. Nel cast, assemblato con grande stile: John Goodman, Selma Blair, Leo Fitzpatrick, Robert Wisdom, Paul Giamatti, Franka Potente e, nel ruolo di sè stesso, Conan O' Brien. Da vedere almeno come antidoto alle superproduzioni patinate con lieto fine incorporato. 9,5/10.

La trama

Prima parte, 'Fiction': una ragazza segue un corso di scrittura, ma i suoi elaborati non funzionano. Allora scrive la storia di una ragazza che fa sesso col proprio docente di scrittura: è scioccante, ma è una storia vera. Seconda parte, 'Non-fiction': un documentarista fallito convince la famiglia Livingston a lasciarsi riprendere. Padre, madre, tre figli in età scolare e domestica: cominciano a succedere disgrazie a raffica sui Livingston.

 

(Re-visione 8/7/22)

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