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Per il re e per la patria

Regia di Joseph Losey vedi scheda film

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La recensione su Per il re e per la patria

di Peppe Comune
9 stelle

Prima guerra mondiale. Il soldato semplice Arthur Hamp (Tom Courtenay) sopravvive ad una battaglia atroce dove hanno perso la vita quasi tutti i suoi commilitoni. Poco prima aveva scoperto che la moglie lo stava tradento con un altro uomo e questi due fatto gli sono parsi sufficienti per allontanarsi dai ranghi e tentare un improbabile ritorno a casa. Per questo viene accusato di diserzione e sottoposto a processo. A difenderlo è il capitano Hargreaves (Dirk Bogarde), che prima accetta con riluttanza l’incarico, ma poi si affeziona alla causa di questo soldato ingenuo che non sa raccontare bugie. Anche se il suo ruolo gli impone di rimanere fedele ai suoi doveri di ufficiale della corona, il capitano Hargreaves ha modo di scorgere l’irragionevole fallacità in quei codici militari che è chiamato a servire e difendere.  

 

scena

Per il re e per la patria (1964): scena

 

“Per il re e per la patria” di Joseph Losey è un film tenacemente antimilitarista,  un pamphlet raffinato che, nel mostrarci l’abbrutimento delle coscienze prodotto dalla guerra, si scaglia deciso contro le  ipocrite ambiguit  dei vertici militari, la loro indole parassitaria, il loro nascondersi dietro il totem indistruttibile delle gerarchie sociali da preservare ad ogni costo.

Lungo tutta la storia del cinema, è accaduto già che grandi film non abbiano dovuto entrare direttamente nel ventre molle della guerra per farcene scorgere la faccia feroce ed ergersi a ragionato manifesto antimilitarista. Si pensi a due capolavori indiscussi sul tema come “Orizzonti di gloria” di Stanley Kubrick e “La grande illusione” di Jean Renoir, film che si concentrano sugli effetti prodotti sugli uomini dall’obbedienza cieca alle logiche militari rimanendo sullo sfondo le battaglie con il loro, inevitabile, corollario di morte e distruzione. La maestri sta proprio nel riunire in un unico schema narrativo, ciò che non vediamo ma che avvertiamo come tragicamente presente, e la psicologia precaria di uomini in arme che proprio da quella guerra che noi sentiamo solamente è profondamente condizionata.  Per una messinscena che ci porta a riflettere per induzione sulla disumana attitudine di esercitare l’arte della guerra. Nel film del “rosso” Joseph Losey, l’americano costretto a riparare in Inghilterra per sfuggire dalle spire oscurantiste del maccartismo, accade esattamente la stessa cosa, e se la messinscena non arriva agli esiti artistici dei film menzionati, regge dignitosamente il confronto per la maniera raffinata (suo timbro di fabbrica) con cui argomenta le sue ragioni.

Se si escludono alcuni fotogrammi iniziali, che ritraggono dei corpi carbonizzati e sventrati dalle bombe, il film è girato tutto in interni, con un’impostazione quasi teatrale che investe molto sul carattere dei personaggi e sul ruolo che ognuno è chiamato a recitare in un processo dagli esiti già noti. I chiaro scuri molto accentuati accrescono la gravità della situazione, mentre il fango e i ratti che “dominano” la trincea servono ad agire per contrasto contro l’ostentata alterigia dei vertici militari. L’evidenza del degrado costringe ognuno a prendere atto di dover abitare in uno stesso spazio inospitale. La guerra l’avvertiamo come una presenza tangibile attraverso lo scoppio delle bombe e i fischi dei proiettili che incrociano tra trincee contrapposte le loro traiettorie, suoni molesti che fanno da sfondo all’arte retorica degli ufficiali militari chiamati a discutere intorno ad un caso di diserzione. Al processo va in scena la sostanziale contrapposizione tra chi vuole far prevalere la ragione umana sul rispetto acritico della disciplina militare, e chi usa proprio la disciplina militare per nascondere al mondo la concreta improduttività della sua funzione sociale. “Perché ti sei arruolato”, chiede il capitano Hargreaves, “per il re e per la patria”, risponde deciso il soldato semplice Hamp , senza mostrare pentimento e con convinta partecipazione emotiva. Joseph Losey non si affida alle invettive di un soldato ribelle per far emergere il suo punto di vista sulla guerra, ma arriva a filmare un potente film antimilitarista facendo della vicenda esistenziale di un soldato semplice la premessa essenziale da cui dover partire. La passività con cui Hamp si rapporta agli eventi che gli riguardano finisce per alimentare ulteriormente le spinte punitive perorate dagli ufficiali dell’accusa, che scambiano la sua mitezza caratteriale con l’assoluta mancanza di personalità guerriera, la paura legittima che si può avere stando in guerra per mancanza di coraggio. Il capitano Hargreaves è un ufficiale che crede nella bontà del suo esercizio militare, ma nella pena che si vuole comminare al soldato scorge un ingiustizia profonda che si compie innanzitutto contro il ruolo sociale che egli stesso incarna. A contatto con questo soldato ingenuo, che “se solo avesse detto qualche bugia avrebbe sicuramente avuto meno guai”, il capitano avvocato impara a considerare che non tutte le fattispecie possono essere trattate con lo stesso metro di giudizio, che occorre usare anche il buon senso se si vuole aumentare nella truppa la fiducia verso i vertici militari. “ Se non si rende giustizia anche ad un uomo solo, allora, anche tutti gli altri muoiono invano”, dice solennemente alla fine della sua appassionante arringa. In guerra, un soldato rimane pur sempre un uomo, ed un uomo “non può sopportare tanto sangue, tanto sudiciume, tante morti”. Hargreaves coglie il lato assurdo dell’impostazione processuale dei suoi colleghi militari, nel fatto di ritenere la mancata morte di Hamp un segno evidente di codardia. Il considerare come una colpa il fatto che Hamp sia ancora vivo, gli sembra un elemento sufficiente per perorare con convinzione la causa dell’assoluzione del soldato contro la difesa fideistica del codice militare. É questo assunto irragionevole che porta ad assimilare la paura di morire con un gesto di vigliaccheria a dare tutta la misura antimilitarista del film. Un assunto determinato dalle pieghe di dialoghi serrati e puntuali, da cui si evince la contrapposizione tra la precarietà psicologica di un soldato, che ha sempre fatto per bene il suo dovere,  e la rigidità del codice militare che prescrive una punizione adeguata per ogni forma di debolezza “irresponsabile” dimostrata da un qualsiasi soldato. L’avvocato argomenta sui sentimenti per presentare un quadro ragionevole dei fatti, fa leva sull’ingenuità di Hamp, sulle sue vicende personali che lo avrebbero portato ad allontanarsi oltre il dovuto impedendogli di non rientrare subito tra le linee. Ai vertici militari interessano solo i fatti che possono presentarsi come dei moniti da far valere contro l'indolenza di ogni singolo soldato. Ed un fatto è che “il reggimento tornerà in linea domani e occorre tenere alto il morale delle truppe”.   

“Per il re e per la patria” è un film bello e raffinato, retto sul fascino ipnotico delle parole e sulle interpretazioni sublimi di Tom Courtenay e dell’immenso Dirk Bogarde. Un processo imbastito contro un soldato accusato di diserzione che si trasforma in una condanna ragionata contro l’ottusa marzialità dei codici militari. Grande film del grande (e sottovalutato) Joseph Losey.

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