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Josephine

Regia di Jacques Demy vedi scheda film

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La recensione su Josephine

di LorCio
10 stelle

Travolto dall’insolito e meritato successo de Le Parapluies de Cherbourg, Jacques Demy ritenta con fortuna la carta del musical, genere assai raramente praticato nel Vecchio Continente se non da qualche autore in maniera molto sporadica. Demy ne ha girati due, uno più bello dell’altro (anche se Cherbourg resta una spanna più sopra). Qui l’azione passa a Rochefort, altra città portuale, costantemente illuminata da un dolce sole e dominata da colori brillanti e da tinte castellate, ed invasa da una compagnia di artisti impegnata per la fiera cittadina.

 

La storia pone al centro un coro di personaggi eccentrici o sognatori: le due gemelle Garnier (da cui il titolo originale Les Demoiselles de Rochefort), la danzatrice Delphine (e non Josephine come nell’oscena edizione italiana) e la compositrice Solange; la di loro madre, Yvonne, che gestisce un chiosco e ha lasciato il suo amore di gioventù a causa del suo bizzarro cognome; il signore Dame, che gestisce un negozio di musica e non ha mai dimenticato il suo amore di gioventù, che lo lasciò a causa del suo bizzarro cognome (appunto); due ballerini, Etienne e Guillaume (e non François come l’hanno tradotto da noi), giramondo con la gioia di vivere intrinseca; il soldatino Maxence, alla disperata ricerca del suo ideale di donna; e Andy Miller, un famoso musicista americano.

 

La girandola d’amore e musica va avanti per due ore, dense di una musica leggiadra ed elegante (composta dall’eccellente Michel Legrande, citato ironicamente e metacinematograficamente tra Bach e Mozart in una delle tante canzoni del film), raggiungendo un formidabile equilibrio che omaggia con affettuosa tenerezza e filologica sensibilità il musical classico hollywoodiano. Non sono un caso i campi lunghi e i carrelli, e non è un caso il coinvolgimento diretto di George Chakiris (appena blasonato dell’Oscar per West Side Story) e del mito assoluto Gene Kelly, icone del genere e testimonianze del filo diretto tra questo film e l’universo americano.

 

Demy ci mette il ritmo giusto, non lascia un attimo di tregua nonostante l’immensa leggerezza del tocco e una punta di malinconica tenerezza di fondo, e costruisce un’opera che fa dell’apparente semplicità (in realtà complicata e congegnata) il suo punto di forza (basta dire che riesce a dilatare senza alcuna pesantezza una storia che teoricamente non avrebbe avuto nulla da dire per due ore). Restaurato dalla signora Demy, cioè Agnes Varda, alla fine degli anni novanta, riportando al massimo splendore la splendida fotografia di Ghislain Cloqueut. Attori perfetti, con menzioni d’onore a Madame Danielle Darrieux, Jacques Perrin e Henri Crémieux nei panni dell’imprevedibile signor Dutroz.

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