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Dersu Uzala. Il piccolo uomo delle grandi pianure

Regia di Akira Kurosawa vedi scheda film

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Marcello del Campo

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La recensione su Dersu Uzala. Il piccolo uomo delle grandi pianure

di Marcello del Campo
8 stelle

Dersu Uzala, cacciatore di pianura. Una rappresentazione corale della natura, una Siberia dolce e crudele.

 

 

Dersu Uzala segna nel 1975 il ritorno di Akira Kurosawa al grande cinema (Rashomon, I sette Samurai, Il trono di sangue), dopo la parentesi del “sottosuolo” che con Dodès-Ka-Den aveva segnato il punto dolente della crisi del regista giapponese. Dersu Uzala è un vecchio cacciatore della tribù dei Goldi che nei primi anni del Novecento vive nomade nelle foreste della Siberia in un rapporto indissolubile con la natura. Il regista si rifà a due libri letti in gioventù dell’esploratore Vladimir Arseniev, intitolati Nel profondo Ussuri e Dersu Uzala, che nel film vengono fusi insieme. Dersu Uzala, divenuto la guida di un gruppo di topografi russi che nel 1902 si inoltrano in terre selvagge, si lega in un’amicizia profonda con il capitano che è il suo opposto, proviene infatti da un retroterra culturale molto diverso. La guida rivela i segreti della natura ai membri della spedizione ed è così che il capitano scopre, grazie a Dersu il vero significato dell’esistenza. Quando Dersu comincia a perdere la vista, il capitano lo porta a vivere con sé a Mosca, dove il Cacciatore delle grandi pianure, non riuscendo ad ambientarsi con la cosiddetta civiltà, decide di tornare alle sue amate foreste: alla periferia della città viene ucciso da un brigante che vuole impossessarsi del fucile che il capitano ha regalato al vecchio per sopravvivere in Siberia. L’uomo della taiga è punito dalla natura le cui leggi ha violato uccidendo una tigre (sacro animale delle foreste), per salvare l’amico capitano. La natura diventa così la protagonista del film: Kurosawa, emulo di Flaherty e Dovzhenko, la animizza restituendone sullo schermo il respiro, la magia, il canto ma anche il grido e la crudeltà. Valga come esempio la tremenda tempesta sul lago ghiacciato, epico saggio di lotta per la sopravvivenza. Kurosawa ha girato nei luoghi narrati da Arseniev: da ciò deriva il fascino epidermico del film, un viaggio fiabesco tra paesaggi splendidi, misteriose musiche delle vette, foreste minacciose e orizzonti a perdita d’occhio. La riuscita dell’opera è dovuta anche all’indimenticabile interpretazione di Maksim Manzuk, un veterano del teatro di Tuva e musicologo che fa di Dersu Uzala un personaggio indimenticabile: la virile amicizia con il capitano (Yurij Solomin), è narrata senza sussulti romanzeschi o retorici e tutto il film si regge su un equilibrio di rapporti che non conosce cadute di tono o sbavatura alcuna. Va sottolineato il coraggio di Kurosawa che, in anni in cui tutto doveva essere politico ad ogni costo (qualche critico “impegnato” glielo rimproverò), svolge un tema sui rapporti uomo-natura-progresso; in questo senso gli è vicino il grande Luis Buñuel il quale ha affermato: “La prima rivoluzione da fare è quella ecologica. Il problema politico è passato in secondo piano”. Dersu Uzalaottenne nel 1976 il premio Oscar come migliore film non americano.

 

 

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