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Cronaca di un'estate

Regia di Jean Rouch, Edgar Morin vedi scheda film

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La recensione su Cronaca di un'estate

di millertropico
8 stelle

"Cronaca di un'estate"  realizzato  nel 1961 da un antropologo (Jean Rouch)  e da un sociologo (Edgar Morin) è a giusta ragione uno dei documentari più significativi e citati dell'intera storia del cinema.

 

I due registi, sulla scia di quanto già avevano fatto in precedenza  autori celebrati come Robert Flaherty e Dziga Vertov, con questa singolare opera che si  impone soprattutto nel suo essere alla fine un eccellente esperimento etnografico e antropologico che si nutre delle risposte interattive fornite dai soggetti osservati e presi come esempio, ci forniscono una documentazione di straordinaria rilevanza sui modelli comportamentali della vita quotidiana a Parigi nei primi anni '60 del secolo scorso.

 

Il film, sviluppando la metodologia che fu di Flaherty (che come ricorderete fece visionare le immagini registrate per  per "Nanuk l'esquimese" agli stessi soggetti della pellicola - gli Inuit - inserendo poi nella pellicola  il conseguente dibattito che ne scaturì) si interroga costantemente sul proprio approccio metodologico ed etico alla materia e anticipa per molti versi la corrente del "cinéma verité" che si affermerà negli anni successivi (vedi la passeggiata per le vie di Parigi di Marcelline, sopravvissuta ai campi di concentramento, commentata da lei stessa in modo dichiaratamente personale).

 

"Cronaca di un'estate" è dunque un'opera  che affascina non tanto come documentario in se stesso, quanto per la sua visione critica che miscela realtà e rappresentazione di essa: gli intervistati sono infatti costantemente sollecitati a rivelare la propria verità interiore in alcuni casi con la confidenza, in altri con la provocazione. La cinepresa insomma (sfruttando alcune innovazioni tecniche negli equipaggiamenti per le riprese in 16 mm introdotte proprio in quegli anni) è utilizzata come testimone e stimolo e quasi esaltata nella sua ingombrante presenza (la finzione della realtà) al contrario per esempio di quanto invece non avesse fatto fino a quel momento Frederick Wiseman che nei suoi documentari cercava in tutti i modi di minimizzarne la presenza. Qui dunque accade invece esattamente il contrario: non c'è un'osservazione neutrale delle cose, ma un coinvolgimento diretto del mezzo di ripresa proprio nella costruzione e nello sviluppo delle azioni.

 

Pur con qualche squilibrio e alcune evidenti contraddizioni, è un saggio interessante  e un'opera premonitrice all'interno della quale si colgono i segni di una insolita (per quei tempi) libertà creatrice che la fa diventare un lavoro di esplorazione critica delle potenzialità offerte  dal filmare le cose  "in presa diretta".

 

 

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