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36, Quai des Orfèvres

Regia di Olivier Marchal vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su 36, Quai des Orfèvres

di joseba
8 stelle

Una feroce banda specializzata in rapine ai portavalori dà del filo da torcere alla polizia: 7 furgoni assaltati in meno di 18 mesi, 9 custodi uccisi e un bottino che si aggira sui due milioni di euro. Il direttore della polizia giudiziaria Mancini, in procinto di assumere l’incarico di direttore generale, incalza i suoi uomini per catturare i banditi e lasciare la scrivania senza conti in sospeso. Sono due gli uomini con le carte in regola per sostituirlo alla direzione della giudiziaria: Léo Vrinks, comandante della Brigade de Recherche et d'Intervention, e Denis Klein, capo della Brigade de Répression du Banditisme. Il primo che sgominerà la banda di rapinatori si aggiudicherà il posto.

Ex ispettore di polizia (assegnato alla sezione antiterrorismo e successivamente comandante di una brigata di notte), Olivier Marchal firma con 36, Quai des Orfèvres il secondo capitolo della trilogia sulla "solitude, la désespérance et l'errance" che si concluderà quattro anni dopo col polar terminale MR 73. Quella di Marchal è la sola trilogie policière, insieme alla triade noir di Guillaume Nicloux (Une Affaire privée, Cette femme-là e La Clef), sfornata in Francia negli anni 2000 e fotografa l'ambiente poliziesco con toni sempre più lividi e crepuscolari, un microcosmo marcato da connivenza, rivalità e degradazione.

Dopo Gangsters (2002), polar a porte chiuse che snida la corruzione rintanata in un commissariato parigino del 18° arrondissement, Marchal alza il tiro e mira direttamente al 36, Quai des Orfèvres: grosso budget, faccia a faccia tra due mostri sacri del cinema francese (Daniel Auteil/Gérard Depardieu) e radiografia dei maneggi politici nel palazzo dell'etat-major della polizia di Parigi. Modello rivendicato da Marchal è Heat di Michael Mann: "L'ambizione era di fare un Heat alla francese. [...] Heat è un modello per me, tanto per il lavoro di direzione degli attori quanto per l'estetica delle immagini e per il virtuosismo della messa in scena".

Ma diversamente dal modello americano, che pone di fronte due figure affini per indole e dissimili per professione, in perfetto spirito polar Marchal trasporta l'ambiguità in seno all'istituzione poliziesca, rappresentando l'ambizione personale e la passività morale di ufficiali (sia Vrinks che Klein hanno le mani imbrattate di sangue) e alti dirigenti (il pilatesco direttore della Police Judiciaire Mancini, interpretato da André Dussolier). Non tutti tuttavia sono sporchi allo stesso titolo: se il manicheismo è poderosamente evitato, tra la compromissione di Vrinks (che copre un omicidio per ottenere la soffiata da un informatore) e la rapacità di Klein (che non si fa scrupoli a incastrare il collega per accaparrarsi il posto di direttore) c'è un'enorme differenza, quella che separa lo strappo alla regola dall'opportunismo senza scrupoli.

La analogie col cinema di Mann non si esauriscono nell'impianto narrativo (la rivalità tra due uomini con molti punti in comune), ma coinvolgono anche il partito preso del realismo. Come Mann è ossessionato dall'autenticità della rappresentazione, così Marchal travasa nel film la sua esperienza di flic, ispirandosi a due eventi che hanno scosso il mondo della polizia a metà degli anni '80: la bavure de la rue du Dr. Blanche, un'operazione congiunta di BRI e BRB degenerata in una terribile sparatoria a causa dell'iniziativa di un comandante della BRB, e la gang des ripoux, una lista nera di flic sospettati di numerose malversazioni nella quale figurava il nome di Jean Vrindts, poliziotto ucciso nello scontro a fuoco della rue du Dr. Blanche. I colleghi di Vrindts accusarono l'amministrazione di voler infangare il suo nome per distogliere l'attenzione dal responsabile della bavure ("abuso"). Tracce di entrambi gli episodi si trovano in 36: il primo è riecheggiato nell'azione isolata di Klein durante l'appostamento intorno al deposito dei rapinatori, il secondo è rievocato nell'incriminazione di Vrinks per aver coperto il crimine del suo informatore. Lo scrupolo realistico di Marchal si è spinto fino ad assoldare come aiuto sceneggiatore Dominique Loiseau, uno dei poliziotti che ha partecipato all'operazione della rue du Dr. Blanche ed è finito sulla lista nera della gang dei corrotti: il film è dedicato a lui e a Christian Caron, alias "Kiki" Caron, un flic deceduto in servizio il 31 agosto 1989.

Nonostante il Michael Mann di Heat sia il modello dichiarato di 36, Marchal lo reinterpreta in chiave squisitamente francese: l'approccio di impronta manniana si cala in forme filmiche di stampo inequivocabilmente polar, permeate di atmosfere conviviali/malinconiche (la cena iniziale per il trasferimento di Eddy), di dolente romanticismo (il rapporto tra Léo e la moglie Camille) e di risonanze tragiche (i due funerali di Eddy e di Camille). Il tutto scolpito da inquadrature di granitica compostezza, scandito da sontuosi montaggi alternati e accompagnato da un commento musicale tanto continuo quanto calibrato. E tra l'irruenza fisica e la responsabilità psicologica è quest'ultima ad avere la meglio, come testimonia la rentrée finale di Léo che preferisce lo specchio della coscienza all'esecuzione della vendetta: "Il n'y a que les morts qui ne reviennent pas, Denis".

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