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Ferro 3. La casa vuota

Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film

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Scarlett Blu

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La recensione su Ferro 3. La casa vuota

di Scarlett Blu
8 stelle

Questo è il mio primo approccio al regista coreano Kim Ki-duk, autore controverso di cui ho molto sentito parlare e che m’ incuriosisce.



Come primo impatto direi che è stato molto positivo e piacevole, più del previsto; non è facile parlare di Ferro 3. La casa vuota, anche perché non mi sono mai trovata davanti a nulla di simile, a parte forse i film muti con cui potrebbe avere qualche attinenza, ma non è del tutto esatto.
Il film è stato presentato a Venezia nel 2004 ed è davvero un’ opera sorprendente per la maniera originalissima e insolita di raccontare una strana e quasi surreale storia d’amore, che a momenti diventa dolorosa, poi leggera e divertente.

Ma mai banale.

Né vi ho colto del pessimismo come afferma qualcuno, semmai speranza.

Anche ironia.

 

Non mi sono annoiata neppure un secondo.

È un film delicato e intimista, che ha quasi il sapore di una favola antica, remota e lontana, una favola quasi senza parole e senza suono, dove il silenzio diventa linguaggio dell’anima e del cuore; eppure a tratti è anche duro, spietato, oserei dire violento, e questo può sembrare una contraddizione.

Però non è così.

In realtà, nella storia tutto appare in equilibrio, né si percepiscono forzature nello sviluppo della trama che sembra impalpabile ed evanescente, invece ha una sua logica emozionale, e questa è la cosa che mi ha sorpreso di più; la naturalezza di un racconto che sembra irreale e acquista la consistenza di un sogno.

E forse il vero cinema fa esattamente questo: rende vero e credibile qualcosa che non potrebbe esserlo, soprattutto nel mondo di oggi.

 

“Difficile dire se il mondo in cui viviamo sia realtà o sogno.”

 

La frase che compare nel finale mi sembra la perfetta sintesi del significato del film, o almeno di quello che cerca di dire e rappresentare. È lo stesso concetto della frase di shakespeariana memoria che dice: siamo attori su un immenso palcoscenico.
E il paragone forse non è così azzardato.

Qui il palcoscenico sono le case degli altri in cui si muovono discreti i due protagonisti.

 

Forse l’amore si esprime meglio nel silenzio.

L’amore non ha bisogno del superfluo, dell’ostentazione, ha solo bisogno di gesti di gentilezza.

Le parole servono per ferire, fare male, troppo spesso abusate nella nostra società della super comunicazione, sterili e vuote. Spesso non arrivano al cuore delle persone, non raggiungono i sentimenti. Né li rappresentano.

Le parole sono come le palline da golf, scagliate contro gli altri, con violenza, come succede in alcune scene del film. I pochi dialoghi appartengono ai personaggi secondari (il marito della donna, il poliziotto, i padroni delle case che sorprendono i due giovani) e sono di solito aggressivi.

Il film credo possa avere diverse chiavi di lettura e forse andrebbe analizzato in rapporto al suo contesto; oltre alla storia d’amore tra lo strano, silenzioso e solitario ragazzo che entra nelle case vuote altrui, - non per rubare, ma per vivere, dove gli altri non vivono e sono soli - e la giovane infelice e maltrattata dal marito ricco, il film può suggerire una velata critica alla società moderna (orientale, occidentale o entrambe?), svuotata di contenuti e interiorità, che si cura solo di profitti e di status da mantenere, stritola le persone e le imprigiona nei suoi sterili meccanismi, annullandone i sentimenti, condannandole all’infelicità. Il protagonista che entra nelle case altrui sembra più felice (e leggero) dell’uomo ricco che deve sforzarsi di non perdere i suoi averi.

È un film che parla di solitudine, quella dei protagonisti, due anime affini che si scoprono e si comprendono nei gesti e negli sguardi. È la donna a seguire l’uomo, in una fuga che la porta alla ricerca di una libertà che le è stata negata fino a quel momento. Per un po’ il gioco andrà avanti, finché i giovani non verranno scoperti e costretti a separarsi, almeno per poco.

La fotografia è veramente molto bella dominata da colori caldi, accesi, i colori della passione sotterranea tra i due ragazzi, c’è una cura per il dettaglio particolare negli interni delle case che suggeriscono qualcosa della personalità di chi le abita, che il ragazzo cattura con la sua macchina fotografica (e questo è l’unico ‘furto’ che il protagonista compie) diventa più fredda solo quando il ragazzo viene rinchiuso in prigione, e qui in maniera bizzarra impara a diventare invisibile, al mondo e alle persone. Su questa sua presunta invisibilità si gioca il finale spiazzante, illusorio, onirico e irreale, eppure bellissimo e struggente.
Ottimi i due protagonisti che riescono a rendere emozioni e sensazioni senza dire nulla (o quasi), e non mi sembra una cosa facile.

 

Di solito non lo faccio, ma vorrei spendere anche due parole sulla locandina del film; è un immagine che mi ha colpito molto, nella sua semplicità è sensuale, ma ha qualcosa di fantastico ed etereo.

 

Davvero un bellissimo film, originalissimo e unico.

4 stelle ½ abbondanti.

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