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Un amore sotto l'albero

Regia di Chazz Palminteri vedi scheda film

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La recensione su Un amore sotto l'albero

di degoffro
4 stelle

Dunque, ricapitoliamo. L'esordiente regista Chazz Palminteri è stato lo sceneggiatore di "Bronx", debutto alla regia (questo sì eccellente) di Robert De Niro, nonché interprete raffinato di almeno quattro importanti titoli degli anni novanta: "Pallottole su Broadway" frizzante ed irresistibile commedia sulla mafia firmata da un Woody Allen in stato di grazia, "I soliti sospetti" suggestivo ed enigmatico thriller ad incastro che ha fatto conoscere al grande pubblico Bryan Singer, "Jade" ambiguo e sensuale giallo erotico di William Friedkin e "Scomodi omicidi" sottovalutato e fascinoso noir in vecchio stile di Lee Tamahori. Susan Sarandon non ha invece bisogno di presentazioni: oltre ad avere vinto un premio Oscar per "Dead Man Walking", da ricordare sono almeno le sue superbe prove in "The rocky horror picture show", "Pretty baby", "Atlantic City", "Calda emozione", "Thelma & Louise", "L'olio di Lorenzo", "Il cliente", "Lo spacciatore" e "Le streghe di Eastwick". Robin Williams (non accreditato, c'è da chiedersi il perchè) è vero che spesso si lascia andare ad una recitazione fastidiosamente sopra le righe ed esagitata ma è, a sua volta, capace di interpretazioni toccanti e misurate come in "Good Morning Vietnam", "L'attimo fuggente", "La leggenda del re pescatore", "Jack" (sottostimatissimo film di Francis Coppola) e "Will Hunting" per cui ha vinto un premio Oscar come migliore attore non protagonista. Penelope Cruz è la musa di Pedro Almodovar per cui ha incarnato le eroine di "Carne tremula", "Tutto su mia madre" e "Volver", ma ha dimostrato anche con il nostro Castellitto ed il suo "Non ti muovere" di avere talento da vendere, sebbene negli States abbia collezionato più fidanzati, veri o presunti (Cruise, Damon, Cage, McConaughey, ecc) che buoni film (c'è solo l'imbarazzo della scelta nel suo disastrato curriculum americano in cui questo "Noel" trova adeguata posizione, tra il risibile "Il mandolino del capitano Corelli", "Vanilla Sky", inutile remake di "Apri gli occhi", il pedante e raffazzonato "Passione ribelle" ed il delirante "Gothika"). Alan Arkin, oltre ad avere ricevuto due nominations agli Oscar per "Arrivano i russi, arrivano i russi" di Norman Jewison e "L'urlo del silenzio" di Robert Ellis Miller è il protagonista di molto valido cinema indipendente e di qualità che va da "Comma 22" di Mike Nichols a "Una strana coppia di suoceri" di Arthur Hiller da "Edward mani di forbice" di Tim Burton ad "Havana" di Sidney Pollack, da "Americani" di James Foley a "Gattaca" di Andrew Niccol, da "Quattro giorni a settembre" di Bruno Barreto a "L'ultimo contratto", solido e misconosciuto noir di George Armitage fino a "Tredici variazioni sul tema" di Jill Sprecher ed il recente acclamato "Little Miss Sunshine". Il compositore Alan Menken è uno dei più celebri musicisti di cartoon Disney tanto da avere vinto l'Oscar per "La Sirenetta", "La bella e la bestia", "Aladdin" e "Pocahontas" ed essere stato nominato altresì per "Il gobbo di Notre Dame" ed "Hercules". Il direttore della fotografia Russell Carpenter ha vinto l'Oscar per "Titanic". La montatrice Susan E. Morse è stata la collaboratrice di fiducia di Woody Allen (da "Manhattan" a "Celebrity"). Di fronte a tutti questi talenti viene dunque da chiedersi legittimamente: cosa li ha spinti a prendere parte a questo colossale ed inaudito film pacco? Non possono essere solo ragioni economiche, perché anche la dignità di artista deve pur avere un qualche valore. "Un amore sotto l'albero" o "Noel" come recita l'originale (già il titolo è espressione di grande ed illuminante fantasia) è una di quelle ragioni per cui bisognerebbe odiare il Natale (per stare al gioco a cui partecipa la Sarandon durante il film). L'opera prima di Palminteri che si è completamente dimenticato del suo passato cinematografico "mafioso" (nel senso che una bella sana cattiveria, al posto di questa melassa indigesta, non avrebbe guastato), infatti, è un confuso e pasticciato tentativo di tragicommedia corale, in cui sotto l'albero si affollano, senza criterio e senza ragione, tragedie e sfighe di ogni genere e tipo, ed in cui ogni persona è sola, malinconica, delusa, tradita, stanca, umiliata, offesa, alla perenne ricerca di una catarsi, un miracolo che cambi la propria grigia ed appassita esistenza, una redenzione, un sostegno, un'amicizia, un affetto, un amore. Del resto, come dice il personaggio della Sarandon alla Cruz: "Se trovi l'amore, il vero amore, non puoi buttarlo all'aria senza combattere, perché nessuno è perfetto!". Che gioiosa e struggente novità, che miracolosa e commovente intuizione. Indegno persino per una soap opera. La casualità sciatta con la quale vengono correlati i personaggi, freddi, statici, monocordi, impersonali, finti, è solo uno tra gli elementi fallaci della pellicola. Manca totalmente il filo rosso che unisce le vite di tutti i protagonisti, ma all’interno di ogni vicenda mancano anche premesse, motivazioni, tensioni psicologiche, conclusioni plausibili, così che l'interesse ed il coinvolgimento sono sempre sotto zero. Tenendosi stretto ad una supposta magia misteriosa del Natale, e ad una spiritualità pseudo religiosa cui è impossibile credere per anche un solo istante ("Ma tu preghi?" domanda l'ex prete Robin Williams a Susan Sarandon, per non parlare della ricorrente immagine dell'angelo rinascimentale appeso alla finestra per "illuminare" il cammino della protagonista), lo sceneggiatore David Hubbard perde di vista il focus narrativo. Lo spettatore annaspa nel tentativo di cogliere il nesso, peraltro evanescente e pretestuoso, di storie che si sarebbero potute risolvere in un paio di cortometraggi di pochi minuti. La solenne lentezza, la sfiancante pomposità e la ripetizione ossessiva delle scene, cui si aggiungono un'imbarazzante mancanza d'ironia, trasformano i novantasei minuti di racconto in una infinita e irritante sequela di banalità e lungaggini. Alcuni personaggi sono davvero incredibili nella loro follia. Da un lato il cameriere Artie che (da non crederci) si illude che Paul Walker sia la reincarnazione della moglie defunta (e tralasciamo tutti gli ovvi e scontati doppi sensi ed equivoci del caso, compresa l’inutile visita del collega macho di Mike con annesse ragazze disinibite per passare la serata). Dall'altro lo sbandato Jules che pensa che il Pronto Soccorso, per quel giorno di festa, sia il posto più accogliente dove trovarsi, in ricordo dell'unico felice Natale trascorso da piccolo, appunto in ospedale, e per questo si provoca volontariamente una frattura con la complicità di un barbone (cameo dello stesso Palminteri). Così il regista: "Ho sempre creduto nel lato spirituale della vita e a come la gente può cambiare la propria vita se ha fede, se ha fiducia in se stessa e se crede a volte anche al soprannaturale. Sono fermamente convinto che ci sono degli angeli intorno a noi che ci guidano nella vita di tutti i giorni. Sono più che certo che ogni cosa accada per una ragione ben precisa. Non è semplicemente un film natalizio, perché ci sono anche tanti momenti bui. Tuttavia la cosa principale che mi fa amare una storia, che la rende interessante è che per ogni momento di luce deve esserci anche un momento di oscurità totale." Evidentemente Palminteri, nel girare questo film, non ha mai avuto momenti di luce, ma sempre e solo buio, peraltro davvero pesto. Altrimenti non si sarebbe buttato via nel costruire, senza mezze misure, il contrasto fra l'atmosfera frizzante e la malinconia dell'anima, mescolando l'estetica festiva più nota - dall'albero alle musiche - e adeguati rinvii all'isolamento esistenziale - la solitudine di una camera d'ospedale o il silenzio di un ponte sul fiume. Emblematica la lunga sequenza d'apertura che segue il personaggio della Sarandon, mentre percorre le strade di New York, in cui regnano gioia, spensieratezze ed allegria, incrociando casualmente una vecchia compagnia di liceo che sembra sprizzare entusiasmo da ogni poro e che la aggiorna, soddisfatta ed altezzosa, sui suoi successi. Clamoroso autogol poi, per un film natalizio zuccheroso, ma stonato ed artificioso nel suo esibito buonismo, è un certo involontario razzismo che emerge dai due personaggi di colore: l'uno è un giovane stallone desideroso di una focosa avventura erotica con l'ancora piacente ma reticente Susan Sarandon, l'altro è l'infermiere del pronto soccorso, la classica fastidiosa ed irritante checca che mortifica gli omosessuali. Se l'ambizione, o meglio, la presunzione era quella di ricreare le magiche atmosfere e ritrovare lo spirito genuino del Frank Capra de "La vita è meravigliosa" (c'è persino l'angelo Robin Williams che salva la Sarandon dal tentativo di suicidio) proprio non ci siamo. Nonostante tutto, Susan al solito riesce ad essere divina (sublime quando tentenna di fronte alle avances del giovanotto, toccante quando, davanti ad un pubblico di sconosciuti, racconta il suo dramma di madre mancata, che la porta ad odiare il Natale, struggente quando si intrufola furtivamente nell'appartamento della chiassosa e numerosa famiglia della Cruz e vorrebbe unirsi a loro per festeggiare il Natale ma poi fugge via - senza dubbio l'episodio più bello e genuino) e anche Williams le tiene degnamente testa, ma da soli non bastano ad evitare il naufragio. Il che la dice lunga sullo stato comatoso di certo cinema americano. E ci si rammarica nell'immaginare un qualsiasi ideale film di cui questa coppia di magnifici attori avrebbe potuto essere protagonista, se servita da un adeguato copione e da un regista all'altezza. Invece evidentemente il convento hollywoodiano di questi tempi passa solo robaccia come questo "Un amore sotto l'albero", che, peraltro, colpevole la Medusa, ha trovato una regolare distribuzione solo in Italia (incasso, fin troppo alto, di 1 milione e mezzo di Euro circa), incontrando anche inattesi e prestigiosi riscontri favorevoli. Su "Il Morandini", ad esempio, si legge: "Molte le riserve di spettatori/critici che si fermano al che cosa, cioè ai contenuti (spiritualità, perdono, fede religiosa, l'amore che fa miracoli, l'arrivo della seconda occasione) e trascurano il come, cioè la finezza e anche l'arguzia dei dialoghi, il rifiuto dello sdolcinato, la bravura degli interpreti, l'atmosfera, l'astuzia surreale - in un contesto realistico - del personaggio di Robin Williams." In Usa invece è uscito contemporaneamente nella doppia versione per il cinema e in dvd. Ma un dvd del tutto particolare: a contatto con l'aria, dopo quarantotto ore, perdeva il contenuto. E tornava ad essere un inutile pezzo di plastica vuoto. Un dvd usa e getta praticamente, perfetto per un film che in realtà è solo "getta". Difficile arrivare alla fine, se non per la masochistica curiosità di constatare lo sfacciato ed impressionante coraggio che si ha nel (pre)confezionare prodotti così squallidi, ipocriti, moralistici, fintamente consolatori, rozzi ed incolori. E l'incredulità e lo smarrimento crescono ancor di più nel leggere sul pressbook del film che tutti, dall'esordiente cineasta agli interpreti, dichiarano di essere rimasti profondamente colpiti dal copione di David Hubbard ricco di "spiritualità, amore, fede, miracoli e perdono", vale a dire "proprio le cose che vogliamo vedere oggi, considerato il mondo in cui viviamo" sottolinea soddisfatto e convinto il produttore Al Corley, lo Steven Carrington di "Dynasty". Per Paul Walker il film "ha tutte le potenzialità per diventare uno di quei classici film di atmosfera natalizia che la gente ha voglia di rivedere anno dopo anno" (mah!!), mentre la Cruz, leggendo la sceneggiatura, ha provato "il desiderio di diventare una persona migliore" (sigh!). Va bene che si deve promuovere un film, ma qui si esagera nel credere che il pubblico sia formato esclusivamente da allocchi. Meglio i Natali a New York (anche se il film di Palminteri, per gli esterni, in realtà è stato girato a Montreal) di italica confezione: lì almeno sai cosa ti aspetti. E "se proprio dobbiamo farci spiegare il vero significato del Natale, vogliamo come maestro il Grinch di Jim Carrey" (Maria Rosa Mancuso), o meglio ancora, aggiungiamo noi, Jack Skeletron di "Nightmare before Christmas". Prodotto tra gli altri da James Mulay (che ha prodotto anche "Una promessa è una promessa" dimenticabile film natalizio con Schwarzenegger) e da Howard Rosenman, responsabile di un altro pietoso e disarmante film sul Natale sulla medesima falsariga di questo: "The family man" con Nicolas Cage. Come dire: errare è umano, perseverare è diabolico! Increscioso, sconcertante, demoralizzante, agghiacciante.
Voto: 2

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