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Volevo solo dormirle addosso

Regia di Eugenio Cappuccio vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Volevo solo dormirle addosso

di scandoniano
4 stelle

“Volevo solo dormirle addosso” è una commediola scritta in maniera talvolta approssimata, ma soprattutto girata in modo piatto. I personaggi sono tutti un tantino eccessivi, caratterizzati all’eccesso, per riportare un mondo che sembra essere sfuggito dalle mani dei singoli individui, tanto da essere rincorso sempre, comunque, irrimediabilmente. In particolare questo vale per Marco Pressi (Giorgio Pasotti), che, poco più che impiegato nella MTI, ottiene un incarico molto frustrante ma decisamente vantaggioso per la sua carriera: basta licenziare (o segare, secondo lo slang che irritantemente accompagna tutti i dialoghi del film) ben 25 persone in meno di 3 mesi in un’azienda composta da 90. Il target imposto da Jean Claude (Marcello Catalano) è difficile, ma la fame d’ambizione di Pressi è tanta da andarci vicino. Alla fine arriva quello che dovrebbe essere il colpo di scena. Che però, per chiunque abbia mai visto un film prima di questo, è decisamente scontato.
Un film che si salva grazie al realismo con cui narra le vicende: la società multietnica (e multilingue) in cui si parla italiano contaminato d’inglese, con qualche necessario ricorso al francese, nonché la precisa ricostruzione dei meccanismi del mondo del lavoro (il cinismo di Catalano, il sadismo di Paola Quattrini, lo stoicismo del sindacalista Bruschetta). Meccanismi che, unitamente allo stereotipato ricorso allo slang milanese da new economy, irritante ma azzeccato, restituiscono un fedele quadro della situazione lavorativa contemporanea. Ottime anche alcune trovate, in particolare quelle degli ultimissimi licenziamenti.
Peccato per il casting, che a parte Pasotti (ottimo nel ruolo del buono che deve improvvisarsi bastardo) recluta gente venuta dalla fiction, dal cabaret, dalle serie tv, fors’anche dalla strada. Peccato anche, ma qui è una questione di sceneggiatura, per i dialoghi. talmente lunghi da costringere gli interpreti a parlare velocissimo, spesso in modo incomprensibile.

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