Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film
Un altro grande saggio di cinema del prodigioso Kim Ki-duk, una delle maggiori emergenze del cinema mondiale degli ultimi anni. Alla sua nona pellicola - per inciso il suo decimo film, "Samaria", girato in soli quindici giorni, è già uscito in dvd - il giovane (classe 1960) e straordinariamente prolifico cineasta coreano conferma un talento visivo impressionante e una lucidità di sguardo assoluta. Dopo aver messo in scena con "L'isola", "Indirizzo sconosciuto" e "Bad Guy" vicende dolorose e laceranti permeate da una violenza pressoché intollerabile, Kim Ki-duk rinuncia a sfidare gli spettatori con immagini che forzano i limiti del rappresentabile e propone con "Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera" un'opera di ispirazione buddista, nella quale un giovane discepolo scopre la quiete dopo i tormenti di una passione che gli ha consumato lo spirito e i sensi. Articolato in quattro quadri più un epilogo, il film è sì il racconto di una vita - dai primi anni dell'infanzia fino all'epoca della maturità -, ma è soprattutto una profonda riflessione sulla pesantezza dell'esistenza. Un poema filosofico di straziante intensità sull'attrazione terrestre che impedisce all'individuo di liberarsi dal peso della carne e delle colpe commesse. Il ripiegamento religioso e la scelta di astenersi da immagini scioccanti potranno ingenerare il sospetto di una edulcorazione estetizzante. Niente di tutto ciò: lo sguardo del regista coreano ha mantenuto una potenza espressiva inalterata, mostrando una sbalorditiva capacità di variare temi e registri stilistici senza intaccare una radicalità morale stupefacente. Due le sequenze da incorniciare: la decisione del giovane monaco di abbandonare il tempio galleggiante per seguire la donna amata e il solenne suicidio del maestro, che nelle fiamme crepitanti della pira sublima il processo di elevazione spirituale. Doppiaggio, come al solito, sotto il livello di guardia.
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