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Le conseguenze dell'amore

Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film

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La recensione su Le conseguenze dell'amore

di giancarlo visitilli
8 stelle

“La cosa più triste che può capitare ad un uomo solo è non avere immaginazione”. Preambolo, prefazione, l’intro che introduce in una sorta di catarsi, alienazione, svuotamento. Così il bellissimo film di Paolo Sorrentino, Le conseguenze dell’amore, ha entusiasmato il pubblico e la critica già a Cannes 2004: unico film italiano in Concorso nell’ambito della prestigiosa Mostra, e adesso non smette di affascinare il pubblico in sala.
Una sorta di film-sorpresa fra cotanta immonnezza di celluloide italiana, di un autore-sceneggiatore e regista, di soli trentacinque anni, che ha già fatto parlare molto di sé con il suo primo film, L’uomo in più (2001). Le conseguenze dell’amore è l’opera seconda, già matura e all’insegna del cinema di grandi registi: Hitchcock, Scorsese, De Palma, solo per citarne alcuni.
Sin dalle prime sequenze, attraverso l’assoluto equilibrio fra l’intercalare della voce di Titta Di Girolamo (Toni Servillo: l’Oscar 2004 mancato), la fredda e bellissima fotografia di Luca Bigazzi e la successione quasi impercettibile fra il suono e il silenzio, l’esterno e l’interno, ci si cala nella decadente e senile vita di un uomo. Ci si trascina, stanchi e appesantiti dal giogo della consapevolezza, per il quale ci si recluta all’inettitudine alla vita. Titta, come un personaggio pirandelliano, hitchcockiano, sopravvive vestendo ora i panni dell’uomo d’affari, elegantissimo e disinvolto, ben presto con un’aria da duro, di chi è capace di tacere e nascondere segreti anche a sé stesso. Un uomo misterioso, che vive da otto anni in un albergo di un’altrettanto anonima cittadina della Svizzera italiana.
Le conseguenze dell'amore, fra l’altro prodotto dal produttore barese Domenico Procacci, è un film italiano importante, perché rappresenta una sorta di luce della ribalta di un genere, il noir in piena regola, piuttosto assente nel nostro cinema. Paolo Sorrentino è fra i pochi registi italiani capaci di dirigere in tal modo gli attori (un’altra prova a noi vicina è quella dell’ultimo film di Amelio). Considerato lo spazio chiuso e anonimo nel quale si muove, il regista napoletano sta addosso ai personaggi, osa inquadrature insolite, mira a creare l’atmosfera utile per delimitare l’interno e l’interiorità fra Titta e il mondo che lo circonda (rappresentato solo da una valigia piena di soldi). Sorrentino lavora per sottrazione: a differenza del primo film propone l’uomo in meno. Si tratta di un film che ti cattura e ti conduce negli abissi angusti degli affari loschi dei manager di cui è colma la nostra società, tanto da affondarti, privandoti finanche del respiro.
In tutto ciò Toni Servillo sembra ‘geneticamente modificato’, perché è difficile trovare in Italia un attore ‘vero’ e bravo come lui. Altro che le rincorse-senza-Accorsi, “il nuovo Mastroianni” e simili…. Recitazione misuratissima, calibrata fra silenzi e parole non dette, ma comunque sempre soppesate. Che dire della mimica facciale di Servillo, quasi impercettibile: una sorta di agopuntura che inietta emozioni, che si celano sottopelle. Perciò per noi Toni Servillo è l’Oscar 2004 mancato (senza nulla togliere a Xavier Bardem di Mare dentro). La bellissima Olivia Magnani, nipote della meravigliosa Anna, non fa proprio una bella figura accanto ad un istrione come Servillo, altrettanto Giannini junior; tutti giovani attori che avrebbero ancora molto tempo e tanto ancora da imparare dai loro zii e padri.
Dopo la visione di questo film, “fra i progetti futuri” c’è assolutamente bisogno di obbedire al consiglio di Sorrentino: “non sottovalutare le conseguenze dell’amore”. In fondo Titta è attratto e diviso fra l’io-mondo-dio-danaro. Come noi e lo schermo. Tutte attrazioni: a noi, però, valutare se tali attrazioni sono conseguenza o causa di amori, dai quali sarebbe difficile districarsi. Specie col tempo.
Giancarlo Visitilli

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