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Shrek 2

Regia di Andrew Adamson, Kelly Asbury, Conrad Vernon vedi scheda film

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La recensione su Shrek 2

di Decks
7 stelle

Dopo l'enorme successo del primo capitolo, tutti si aspettavano un seguito (regola a cui ormai il marketing made in USA ci ha abituati); ben più sorprendente è che questo secondo atto dell'orco verde funzioni e diverta, lasciando inalterate le architravi che il pubblico aveva amato, tanto che persino in Italia "La Gazzetta dello Sport" uscì di color verde.

 

Prima di tutto però, è bene sottolineare che la potenza narrativa e l'energia innovativa che trapelavano da ogni singola sequenza del primo film, qui sono assenti: grosso problema, perchè la storia a parte qualche espediente, che spesso risulta scontato o poco marcato, procede a tentoni, sorreggendosi tra parodie e citazionismo. Non necessariamente va visto come un difetto; per chi cerca un film d'animazione privo di pesantezza, questo è uno dei più adatti, ma resta comunque un po' di amaro in bocca vedendo che tutto procede con leggerezza, senza profondità e consistenza; il divertimento è assicurato, ma le emozioni no. Il risultato ottenuto, confrontato col precedente film, può essere riassunto benissimo paragonando l'ultima frettolosa trasformazione con quella ben più significativa del primo, giungendo al medesimo pensiero di lieve delusione.

La leggerezza con cui gli eventi sono narrati si concretizza anche nella regia: sbrigativa, caratterizzata da un montaggio rapido visto più negli attuali film di azione che di animazione, che riesce solo a disorientare, non aiutando certo nel seguire maggiormente una storia già povera di contenuto.

Oltretutto, se la vera forza di Shrek stava nella singolarità con cui i temi delle fiabe erano trattati, il lungometraggio animato si appresta a diventare fin troppo canonico: stacchetti musicali simili a film disneyani (seppur più brevi) e sceneggiature che ricordano vagamente i successi della grande casa di produzione animata.

 

A parte alcune ricordanze però, le sceneggiature mature, irriverenti e volte al parodizzare tutti gli elementi fiabeschi sono sempre irresistibili e spregiudicate, immergendoci nuovamente nei dialoghi che tanto ricordavamo del primo capitolo, mantenendo sempre quel tema del diverso che tanto avevamo apprezzato. Stavolta quest'ultimo è visto sotto una luce diversa: più che con gli occhi di Shrek, assistiamo alla sua discriminazione ed estraniazione da parte dei così detti "normali"; per l'orco non solo è motivo di rabbia, ma di umiliazione e avvilimento, deluso per non essere ciò che Fiona desiderava fin da adolescente: un aitante cavaliere. Shrek tenterà di mischiarsi ai normali: una critica appartenente più alla nostra società che ad un mondo fiabesco; il desiderio del diverso di unirsi alle masse, volto a non subire più soprusi e disparità. Con il finale, Shrek ci insegnerà che non bisogna per forza essere uguali agli altri per star bene con sè stessi, ma anzi, che spesso i più comuni sono invece i più scontati e arroganti, talvolta celando un lato ben più antiestetico (o sarebbe meglio dire rospesco).

Un ringraziamento è d'obbligo per i doppiatori: uniti alle ottime sceneggiature realizzano un ottimo lavoro, dei veri professionisti capaci di dare un tocco unico ai loro personaggi: Eddie Murphy con il suo ciuco logorroico, ancora travolgente, viene però scalzato da un'altra spalla comica: il gatto degli stivali di Banderas. Con la sua calata spagnola e un affondo di spada, trapasserà più di un cuore, grazie anche a quegli occhioni dolci ormai antologia dell'animazione. Perfetti anche John Cleese e Julie Andrews che nel ruolo dei due regnanti creano un'ottima sincronia, che aggiunta alla goffaggine del re li rendono insuperabili.

 

Il secondo capitolo del mostruoso orco non strabilia come il primo, ma sicuramente intrattiene, approfondendo un tema con la giusta semplicità per i più piccoli, possedendo delle sceneggiature strepitose.

Ci lasciamo dunque trasportare dalle risate e dalle citazioni (che spaziano da "Alien" a "Frankenstein" fino al "Signore degli Anelli") senza impegno, ma con un vago retrogusto del più coinvolgente primo episodio.

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