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Ti do i miei occhi

Regia di Icíar Bollaín vedi scheda film

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La recensione su Ti do i miei occhi

di Stuntman Miglio
8 stelle

Tema scottante la violenza domestica, un argomento difficile da trattare e da restituire su grande schermo senza incorrere in futile retorica o siparietti superficiali. Iciar Bollain, prima di essere regista, è una donna ed il suo "Ti do i miei occhi" è un ritratto sentito ed intenso, forse femminista, forse eccessivamente didascalico ma senz' altro sincero e coraggioso. Bastano pochi minuti per essere letteralmente scaraventati nel mondo della sua protagonista Pilar : una fuga in piena notte con ancora le pantofole ai piedi, la paura negli occhi, una disperata richiesta d' asilo alla sorella. Da cosa (o meglio da chi) stia scappando la donna è altrettanto facile da intuire : la camera si muove silenziosa fra le pareti e le stanze di una casa vuota che porta i segni di collera e violenza. Non è la prima volta che Antonio scatena la sua furia contro Pilar, i referti medici chiusi in un cassetto parlano chiaro. Ciò nonostante lui non può fare a meno di lei e torna a cercarla, si sottopone addirittura a sedute di terapia di gruppo per placare il furore perchè, a modo suo, Antonio ama sua moglia o almeno così crede. Lei, d'altro canto, è ancora innamorata del padre di suo figlio e, complice una ritrovata serenità anche in ambito lavorativo, cede ingenuamente alla tentazione di concedergli una seconda possibilità. L' apparente armonia che segue al riappacificamento è fragile ed effimera : una frase fuori posto, un cellulare spento e la dedizione verso il nuovo lavoro saranno pretesti sufficienti per riscatenare l' orrore. Girato in una Toledo di cui s' intravedono pochi scorci, il film della Bollain analizza impietosamente sia lo status di costante terrore provato dalle vittime di violenza fisica e psicologica che le possibili cause scatenanti nei soggetti che quella violenza la usano come strumento di controllo e possessione. Alla radice si posso riscontrare egoismo, complesso d' inferiorità e paura, la paura di non essere all' altezza, la paura di essere abbandonati, di rimanere soli. Badate bene, la regista non giustifica, tenta semplicemente di offrire una possibile spiegazione (tutt'altro che consolatoria) con tutte le contraddizioni che ne conseguono quando si sviscerano le passioni ed i sentimenti umani più estremi. Il finale, del resto, è inequivocabile. Una pellicola quindi interessante e a tratti destabilizzante che non avrebbe avuto lo stesso impatto emotivo senza due protagonisti eccelsi come Laia Marull e Luis Tosar : lei eccezionale nel rendere l' annientamento e l' impotenza del suo personaggio, lui una maschera trasfigurata dall' ira persino quando gioca a pallone con il figlio. Quando i due condividono la scena, lasciano il segno; basti pensare a quel lancinante amplesso o a quel primo confronto attraverso la fessura di un portone dal quale s'intravedono solo i volti. Solo gli occhi.

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