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Kill Bill. Vol. 2

Regia di Quentin Tarantino vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Kill Bill. Vol. 2

di scandoniano
10 stelle

“Kill Bill vol.II” è un altro gran film griffato Tarantino. È avvincente, intenso, sofferto. È la degna prosecuzione del primo episodio. Rispetto a quest’ultimo, cambia il registro, ma non per questo si sacrifica il trademark registico.
Si comincia con una voce “in campo”: la Thurman spiega cos’ha fatto nel primo episodio e i suoi propositi per il secondo, in uno stile Hitchcock (bianco e nero patinato, auto decappottabile, capelli al vento, musica incalzante come per Janet Leigh in “Psycho”).
Si prosegue, come al solito col film diviso in capitoli, attraverso il variegato spaziare tra film di Kung-fu, western all’italiana, splatter e new action-movie (“Matrix”, “La tigre e il dragone”, “Il monaco”). È tutto un citare in Tarantino: un omaggio al cinema tout court, alla sua evoluzione, alle ultime tendenze.
Si finisce con un lunghissimo dialogo tra Bill e “la sposa”, concluso con un (deludente) duello-lampo.
Proprio a tal proposito, sembra evidente, a primo acchito, che rispetto al primo episodio, questo è un sequel meno basato sull’azione e molto più sui dialoghi, anche se quelle rare (in proporzione) scene di combattimento, sono decisamente da antologia (la lotta tra la “sposa” ed Elle Driver in particolare).
I dialoghi, appunto, sono eccessivi, troppo prolissi: il film si ricorda principalmente, e questo è una grave pecca, per quel continuo bla, bla, bla, che spesso non ha senso.
Aldilà di quello che Tarantino c’ha voluto far credere, infatti, dei due film se ne poteva fare uno di meno di 180’ senza omettere nulla di vitale e senza che nessuno si annoiasse per la durata.
Dunque prolisso, copione, fumoso: perché allora Kill Bill II è così grandioso?
Perché ti toglie il fiato, perché ci sono scene da leggenda, perché Tarantino ti coglie sempre di sorpresa e sa dove andare a scavare per farti paura (gente sepolta viva, serpenti velenosi). E perché, last but not least, il film estremizza ciò che di non convenzionale s’era visto nel prequel. Se nel primo episodio c’erano inserti manga e installazioni bianco e nero, qui Tarantino oltre a prodursi in un fugace quanto incisivo split-screen, addirittura gira qualche secondo conferendo alla pellicola un inusuale formato “quadrato”.
È il cinema dell’eccesso, della contaminazione, dello shock spettatoriale. È il cinema di Quentin Tarantino.

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