Regia di Mel Gibson vedi scheda film
Capisco l’intenzione e apprezzo l’idea di fondo di cercare di rendere la passione di Cristo in maniera più realistica, in modo da rendere più comprensibile la grandiosità del suo gesto e la straordinarietà del suo messaggio di amare e perdonare nonostante tutto, ma bisogna ammettere che Gibson ha calcato troppo la mano. Se da un lato si capisce l’esigenza di porsi in contrapposizione alla precedente iconografia cinematografica e anche parte di quella pittorica in cui le sofferenze di Gesù risultano molto edulcorate e quindi quasi tollerabili, qui si cade all’estremo opposto. Con una flagellazione che avrebbe ucciso qualsiasi essere umano, un Gesù che cade fin troppe volte lungo il Calvario, andando ben oltre a quella che è la tradizione cristiana, e un inutile ribaltamento della croce che sa solo di compiaciuta crudeltà, se l’intento era di voler essere realistici, si ottiene l’effetto opposto; l’esasperata crudeltà risulta a tratti quasi grottesca e anziché evocare una maggiore empatia da parte dello spettatore rischia di aumentarne il distacco. Probabilmente proprio per necessità di distaccarmi da tanta sofferenza, non mi sono mai sentita così lontana da una rappresentazione di Gesù al cinema. L’impressione è che con un maggiore senso della misura sarebbe potuto essere un ottimo film, invece così resta ammirevole negli intenti e un po’ meno nella realizzazione.
Però non riesco a comprendere certa critica che lo stronca categoricamente per l’eccessiva violenza. In fondo la figura di Gesù e la sua passione possono essere rappresentate in modi differenti a seconda della sensibilità di chi la riproduce e il suo intento. Mi viene da pensare all’arte pittorica dove sulla croce spesso si vede Gesù più o meno illeso, talvolta pure trionfante, altre volte più sofferente o sanguinante, ma poi ci sono anche rappresentazioni come quella di Grünewald in cui emerge una sofferenza esasperata. Anche se in modo diverso sono tutte rappresentazioni apprezzabili.
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