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Lisa e il diavolo

Regia di Mario Bava, Alfredo Leone vedi scheda film

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La recensione su Lisa e il diavolo

di ROTOTOM
4 stelle

Meglio conosciuto come La casa dell’esorcismo.

Il primo titolo del film di Mario Bava datato 1973 era Lisa e il diavolo. Storia di una ragazza che vista la somiglianza con un' antica passione di un giovane e aristocratico pazzo viene portata nella casa di quest’ultimo per la rappresentazione delle paure e dei traumi che ciclicamente egli mette in scena per placare i fantasmi della mente e dell’inguine, visto che è impotente. La rappresentazione del funerale della sua amata e dei suoi amanti occasionali viene effettuata tramite l’uso di manichini costruiti ad arte e manotenuti dal maggiordomo, un Telly Savalas già munito di Chupa Chups. La storia tortuosa e mai completamente chiara nello svolgimento ostenta onirismo e tette, misticismo e morbosità, claustrofobia e omicidi senza cogliere mai pienamente nel segno, il tratto caratteristico di Bava, l’uso espressionista dei colori e delle ombre è sacrificato in una piatta messa in scena, monocromatica e mai ispirata mal sfruttando anche la bella ambientazione dell’antica magione in cui la storia si svolge. Il film inizialmente distribuito con il titolo di Lisa e il diavolo fu giustamente un fiasco per cui la produzione lo ritirò e nel 1975 produsse altro girato incastrando nella storia principale l’esorcismo dell’alter ego della Sommers che interpreta Elena la reincarnazione dell’amata defunta del giovane aristocratico, dispesando tutti i luoghi comuni della nuova iconografia dell’indemoniato inaugurata con L’esorcista di Friedkin, uscito due anni prima e di cui questa operazione di taglia e cuci cavalcava, almeno nelle intenzioni, il planetario successo sfruttando il repentino cambio di titolo-specchietto per allodole nel più diretto La casa dell’esorcismo. Eccessi visivi, vomito verde, un po’ di sani peli pubici, un prete con qualcosa da rimproverarsi, rane, bava (non il regista) a gogo e una buona dose di oscenità linguistiche non bastano però risollevare dalla mediocrità il film che a questo punto presenta le due trame parallele, incollate alla meno peggio e in cui la parte asetticamente spoglia e povera di idee del rito esorcizzante mal si incastra e non giustifica la parte più visivamente barocca e datata del film originale. La discrepanza tra le due anime del film è colpevolmente lampante anche dal punto di vista della collocazione temporale, mentre infatti Lisa e il diavolo sembra collocato nell ‘800 a giudicare dai vestiti tardo romantico rondò veneziano e metà 900 dall’auto degli sventurati che si trovano ad affrontare i patemi sessual-schizofrenico- necrofilo del padrone di casa, la parte inserita successivamente, responsabile del cambio di titolo, presenta invece look assolutamente anni ’70 con tanto di camicie fiorate e collettoni, jeans aderenti e chiome fluenti. Un pastrocchio che non rende giustizia alla fama di un autore fondamentale nel panorama dell’horror e del fantastico made in Italy che ha, con altre e più significative opere ispirato tutto il genere fino ai giorni nostri. Gli attori ce la mettono tutta almeno per etica professionale: la padrona di casa è una sempre ottima Alida Valli in un ruolo che non rende giustizia alle sue abilità recitative anche se gli unici brividi di classe li somministra lei, la cattiva per antonomasia del cinema italiano, mentre la pulzella in pericolo è una sbigottita, ululante, vomitante, denudante, Elke Sommers e infine una Sylva Koscina sommessa con l'unico compito di urlare, piangere e mostrare il florido seno oltre al già citato gigioneggiante e completamente fuori ruolo Telly Savalas.








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