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Camicia nera

Regia di Giovacchino Forzano vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Camicia nera

di sasso67
4 stelle

"Camicia nera" è un film piuttosto brutto al servizio di una causa ignobile. Tuttavia la prima parte, che parla della vita nelle Paludi Pontine e poi dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, con il coinvolgimento anche delle povere famiglie contadine del basso Lazio, che vivono nelle lestre (le capanne di legno e paglia tipiche dell'Agro Pontino), ha un suo fascino e Forzano riesce a dare alle immagini, utilizzando moduli espressivi attenti alla lezione del cinema sovietico, una indubitabile forza. Purtroppo l'insieme è finalizzato ad esaltare la funzione del regime fascista e quindi l'intera operazione, condotta da un unico e aberrante punto di vista, lascia inevitabilmente l'amaro in bocca. Della guerra non vengono minimamente messi in evidenza gli aspetti negativi, se non un fugace accenno alla morte di un paesano dei protagonisti, né le sconfitte, arrivando a sembrare - cosa che non fu - una marcia trionfale per la maggior gloria della patria. Il film, in certi momenti insopportabilmente retorico (il bambino vuole andare in Piazza San Sepolcro a Milano per vedere Mussolini, che allora nessuno conosceva, se non negli ambienti socialisti), fa trapelare la convinzione che, nonostante la gloriosa vittoria, l'Italia fu poi maltrattata in sede di trattati postbellici, venendo privata della Dalmazia, che fu concessa al neonato stato della Jugoslavia. E qui c'è già una contraddizione, a voler essere attenti, quando si dice che "le terre vengono concesse ai nemici sconfitti": primo perché la Serbia, che costituì il nerbo della Jugoslavia, fu tutt'altro che sconfitta, essendo stata il nemico originale (e scatenante del conflitto) dell'Impero Austro-Ungarico cancellato dalla Prima Guerra Mondiale; secondo perché la Serbia non era un nemico dell'Italia, ma un alleato, tanto che poco prima, nel film, un marinaio racconta di aver passato gli ultimi quattro mesi a mettere in salvo centonovantamila soldati serbi. Proprio dall'umiliazione dei trattati conclusivi della Grande Guerra il film di Forzano fa discendere il malcontento degli Arditi, dei reduci, che oltretutto si vedono costretti a combattere per la salvezza della patria "in casa" contro i "rossi", i quali sabotano la vita civile con i loro scioperi che, per voler tacere delle conseguenze disastrose lasciate dalla guerra esaltata dal giovane Mussolini, sembrano davvero immotivati. A questo punto si può far passare tutto: perfino che furono i "rossi" i colpevoli dei brogli alle elezioni, comprando i voti a dieci lire ciascuno, tanto che con questo si può giustificare la reazione violenta delle prime squadracce di camicie nere armate di bastoni e perfino l'abolizione delle libere elezioni, sostituite da Mussolini con dei più sani plebisciti. Ovviamente la reazione delle camicie nere è ben spalleggiata dalla Chiesa, rappresentata qui da un pretone onesto e combattivo (che se non vado errato è interpretato da Carlo Ninchi), che si oppone allo sciopero dei telefoni. Poi, dopo la Marcia su Roma e il "discorso del bivacco", il film diventa uno spottone per il governo che fa passare per pivellini della propaganda politica il Goebbels di cinque anni dopo e il Berlusconi di sessant'anni dopo, elencando le grandi opere pubbliche, le scuole e le case popolari costruite, i chilometri di strade e di ferrovie realizzati, le tonnellate di carbone risparmiate. E poi interviene lui, sì, Mussolini, che inaugura le nuove città di Littoria, Sabaudia e Pontinia e fa da garante al nuovo ordine italiano instaurato - ma questo il film non lo dice - a suon di manganellate e olio di ricino. E qui lo spettatore moderno non può non avvertire un'ennesima contraddizione quando Mussolini dice che (e lo si vede nel film) non c'è più bisogno che gli italiani emigrino per cercare terre da lavorare, quando ce ne sono in abbondanza ad appena mezz'ora dalla capitale: e allora perché la disgraziata avventura coloniale e la famigerata ricerca di "un posto al sole"?

Su Vinicio Sofia

Da film di Totò il personaggio interpretato da Vinicio Sofia - che con Totò lavorerà in più film - il quale prima fa il mediatore che, profittando della neutralità, fa emigrare all'estero i giovani italiani e dopo la guerra si trasforma in agitatore politico al servizio dei "rossi".

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