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L'isola - Seom

Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su L'isola - Seom

di luisasalvi
4 stelle

Sento già gli acuti strilli (mai argomentati) di lodatori acritici del regista o in generale dei film orientali, meglio se molto simbolici e poco comprensibili e con tanta violenza e sangue e che avrebbero, secondo un luogo comune privo di fondamento, la caratteristica poetica della lentezza e dei silenzi (magari da Kurosawa a Woo, per non parlare dei successi popolari tipo Kung Fu, poi imitati dai registi occidentali in cerca di modelli di violenza e di movimento estremi), rispetto alla nostra concitazione urlata (da Dreyer a Bresson o Rohmer, tanto per fare qualche esempio; Ozu e altri maestri orientali hanno iniziato imitando registi occidentali).
Restiamo all’Isola, di cui riassumo la vicenda, semplice ma esposta in disordine di cui non mi appare chiaro il motivo espressivo: Hee-jin (non muta ma solo silenziosa, come tanti altri personaggi del regista; infatti la vediamo, senza udirla, parlare al telefono) gestisce da una casa sul bordo di un lago un gruppo di capanne-isole galleggianti variamente colorate e ancorate, che affitta a pescatori, trasportandoli e rifornendoli di ciò che serve, comprese prestazioni sessuali proprie o di prostitute della zona, richieste per telefono dai clienti. All’inizio del film arriva Hyun-shik, forse in fuga dopo aver ucciso la moglie ed un suo amante sorpresi mentre facevano l’amore (così almeno par di capire da un suo successivo sogno); Hee-jin lo porta alla capanna gialla, dove lui per prima cosa controlla il buon funzionamento della pistola, né per ora si capisce se è per uccidersi; poi Hee-jin porta caffé a un gruppo di pescatori, fornendo sesso a uno che ne rimane insoddisfatto e non vuole pagarla, poi pretende che lei almeno parli, infine le getta il denaro nell’acqua in fondo alla barca; lei si vendica poco dopo trascinandolo in acqua quando lui si sporge dalla piattaforma per defecare. Al mattino passa davanti alla casa gialla dove vede piangere Hyun-shik (che ha sognato una coppia uccisa mentre copula) e ne prova simpatia. A sera lui si punta la pistola alla tempia ma lei si tuffa sotto il pavimento e lo ferisce alla coscia con un punteruolo distogliendolo dal proposito suicida. Al mattino lei ripassa, esamina l’amo della canna da pesca e vede che non c’è esca, bensì un pesce in fil di ferro (lui poi farà altre figurine, un’altalena per lei dopo averla vista sull’altalena, una bici o moto per la prostituta venuta a trovarlo in moto, infine una forca con un uomo impiccato, per Hee-jin che lo butta in acqua; prego apprezzarne il profondo significato simbolico); gli inserisce un mezzo verme vivo dopo averlo tagliato a metà con i denti...; così un pesce abbocca ma lui lo rigetta in acqua. Lei uccide e spella una rana e ne porta in cibo frammenti all’uccellino in gabbia dell’amato (ma più tardi butterà in acqua la gabbia con l’uccellino); lui in ricompensa le dà un’altalena in fil di ferro. Poi lui chiede se c’è un cesso, e lei gli mostra la botola all’interno della casa.
A sera vi si reca con una bottiglia di liquore, si siede sul bordo e beve; lui le si siede accanto e, riscaldato dall’alcol (forse), le si avvicina per fare l’amore e alle resistenze di lei cerca di violentarla; lei lo getta in acqua e se ne va, telefona a una prostituta dicendo che lui la vuole (così suppongo, ma non si odono le parole della conversazione) e gliela porta, ma lui non vuole, preferisce parlare, lei ne resta affascinata e torna più tardi per soddisfarlo gratis, fra le proteste del suo fidanzato-protettore e sotto lo sguardo irritato di Hee-jin che ancora una volta emerge dall’acqua, dalla botola del cesso, ad osservarli; poco prima anche lei aveva dato soddisfazione a un nuovo cliente (che... interrompe il coito per prendere un pesce che ha abboccato), ma è gelosa di Hyun-shik e, dopo aver riportato l’altra a terra, torna e lo morde a sangue sulla bocca
Due poliziotti vengono a controllare i documenti dei vari clienti, forse in cerca di Hyun-shik; lui li osserva mentre un altro cliente fugge in acqua, viene colpito e poi pescato con una canna; questa volta anziché spararsi pensa bene di ficcarsi un gruppo di ami in gola e poi tirare, con abbondanti getti di sangue e smorfie di dolore, per poi gettarsi in acqua dalla botola del cesso. Lei arriva e pulisce dal sangue e, dopo la rapida visita della polizia, lo pesca dalla botola.
Ma non credo che sia il caso di completare il resoconto di tali sublimi piacevolezze spirituali. Basti dire che quando torna ancora la prostituta innamorata di Hyun-shik, Hee-jin rifiuta di portarla, poi la porta in una capanna più lontana, dove la lega e la lascia morire, naturalmente in acqua, madre matrice primigenia, sorgente di vita e di morte, nella simbologia che il regista ha trovato di gusto e di successo presso pubblico e critica e perciò diffonde a piene mani. In acqua, mista ad abbondante sangue che aiuta a smuovere quello degli spettatori affascinati, finirà anche Hee-jin, come già prima Hyun-shik, dopo essersi infilati un bel gruppo di ami in bocca, lui, e nella vagina, lei; per morire soffrendo, o solo per fornire brividi agli spettatori sadomaso? Fatto sta che entrambi vengono ripescati, prima lui da lei, poi lei da lui, con immaginabile piacere del pescato tirato su dagli ami che lacerano il loro interno e da cui verranno estratti con mani esperte da chirurgo. Nel mezzo, ad abundantiam, in un’altra occasione Hee-jin salva Hyun-shik caduto in acqua gettandogli un amo cui lui si afferra, e trascinandolo a traino fino alla casa, dove amorevolmente ancora una volta gli estrarrà gli ami dalle mani, sempre per il piacere di un pubblico sensibile attento ai significati spirituali e poetici di queste violenze. Sembra che questa sia una combinazione vincente per far scatenare un amore irresistibile e assassino fra i due, secondo uno schema molto apprezzato per la sua novità di amore e morte, di odi et amo, di amor omnia vincit e di altre simili piacevolezze, purché condite di molta violenza e di dilettantesche suggestioni psicanalitiche.
“Dopo che i due oramai scoperti tolgono l'ancora alla casetta gialla e fuggono lontano si vede che lui emerge dall'acqua e disorientato si inoltra in un piccolo isolotto di canne che altro non è che il pelo intorno alla vagina di lei nuda (probabilmente affogata), immersa nell'acqua all'interno di una barchetta” (da Wikipedia).
Le motivazioni delle azioni vanno sempre solo intuite, affidate alla sensibilità dello spettatore, astuto riconoscimento di questa da parte del regista: così ogni spiegazione va bene, ognuno può ritenere di aver capito tutto e perciò apprezza il film fatto proprio per persone sensibili come lui. Qualcuno denuncia la “consueta e stupida morbosità” dei media che ne parlano con tono critico. Un altro ha trovato “motivato e coerente” il simbolo degli ami conficcati nel proprio corpo, ma non ne accenna alcuna spiegazione, perché se non ci arrivi da solo è inutile che te lo spieghi io. Trucchi ben noti anche a registi occidentali, ma qui conditi in forme un po’ diverse dalle nostre, che aggiungono un sapore esotico che piace a chi se ne contenta. In un ambiente affascinante (“poetico”, suggestivo) di capanne-isole, i pochi personaggi si muovono sui riflessi dell’acqua, come in tanti altri film del regista, che ha trovato in questo un comodo ed economico sfondo di sicuro successo di pubblico e di critica, che consente elucubrazioni filosofiche o psicanalitiche oltre a qualche fuga nel surreale o nell’onirico. Frequenti brevi episodi di facile comicità goliardica, spesso legata al cesso o al sesso, e molta violenza gratuita, compiaciuta, per gusti sadomaso...
Ho avuto spesso, rivedendo il film, il sospetto che il regista non pensasse di suggerire sentimenti profondi negli episodi degli ami, ma solo forzature comiche simili a tante altre, a (se ben ricordo) Django che taglia l’orecchia ad uno e gliela fa mangiare, o, con ben altro stile, a Tarantino. Con molta buona volontà gli potrei attribuire anche una intenzione di condanna della pesca, in cui il pescatore fa soffrire allo stesso modo i pesci, con la differenza che questi non hanno scelto di agganciarsi all’amo ma l’hanno preso per errore, nascosto nel cibo. Qui le violenze sadiche su pesci sono ripetute da tutti, e per primo dal regista: lei toglie l’acqua dall’acquario facendoli morire, un altro li pesca e poi li tagliuzza, una coppia ne mangia un filetto crudo e getta in acqua il pesce vivo e amputato, che verrà ripescato e ributtato in acqua anche da Hyun-shik (questo, di mangiare un filetto di pesce mentre il resto del pesce vivo torna in acqua, l’ho visto fare anche da pescatori in Africa).
Certo non ci vedo altro senso, se non quello di soddisfare un pubblico sadomaso; né ho letto, in tanta critica che loda il film, alcuna spiegazione sensata di tale violenza sadomasochistica. Ma almeno qualcuno non ha abboccato; come Valentina Verrocchio in www.asiaexpress.it: “un film ipocrita, perché pomposo mentre fa finta di minimizzarsi e intanto getta negli occhi di chi guarda secchiate di schifo gratuito, con manie di sensazionalismo”.

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