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La sparatoria

Regia di Monte Hellman vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La sparatoria

di rocky85
9 stelle

Si narra che la genesi de La sparatoria (The Shootist, 1966) ha avuto luogo in un ristorante a sud di Hollywood Boulevard, dove Monte Hellman e Roger Corman discutono il progetto di un western a basso costo da realizzare in poche settimane di lavoro. Ad un certo punto, Corman si alza ed afferma entusiasta: “Mi piace! Facciamone due!” Nascono così La sparatoria e Le colline blu, due western-gemelli realizzati in sole sei settimane, nella stessa location (il deserto dello Utah) e con un budget totale di 150.000 dollari. Hellman aveva diretto in precedenza tre piccoli film (un horror, un gangster-movie e un film di guerra), due dei quali scritti e interpretati da un giovane Jack Nicholson, anch’egli appartenente alla factory “cormaniana”. Sotto la supervisione dello stesso Corman, Hellman e Nicholson fondano la Proteus Film, commissionano la sceneggiatura de La sparatoria a Carol Eastman (che si firmerà con lo pseudonimo di Adrien Joyce) e cominciano subito le riprese, durante le quali Nicholson è impegnato a scrivere quella del film successivo. Gli interpreti sono soltanto quattro: la parte del protagonista viene affidata al giovane Warren Oates, già comparso in alcuni film di Peckinpah; Nicholson, da produttore, si sceglie il ruolo del cattivo e mostra già le doti da istrionico mattatore che diverranno costanti nella sua recitazione; gli altri ruoli sono invece assegnati ai quasi esordienti Will Hutchins e Millie Perkins, che era vicina di casa dello stesso Hellman. Il risultato è strabiliante e, pur avendo poco successo, il film assume negli anni lo status di cult, e per vari motivi. Innanzitutto per la storia, che mescola il canovaccio classico del western con una trama da giallo e una drammaticità da tragedia greca.

Protagonista è l’ex cacciatore di taglie Willet Gashade (Warren Oates), ora minatore, che al ritorno all’accampamento dove lo attendono i tre soci scopre dall’unico rimasto, Coley (Will Hutchins) che il fratello di Willet, Coin, è scappato dopo aver ucciso per errore un uomo ed un bambino, mentre l’altro socio Leland è stato misteriosamente freddato. All’improvviso, arriva una donna (Millie Perkins) che chiede l’aiuto di Willet e Coley per essere guidata in un luogo imprecisato attraverso il deserto. Willet capisce subito che c’è qualcosa di strano nella donna e nel suo racconto, ma accetta comunque l’incarico. I tre si mettono in viaggio, ma si accorgono ben presto di essere seguiti a distanza da un quarto individuo, il pericoloso bounty killer Billy Spear (Jack Nicholson). Dove si recano i tre? Chi è e cosa vuole Spear? Ma soprattutto, quale segreto porta con sé quella donna misteriosa?

Hellman mette in scena il racconto di un viaggio quasi metafisico, stravolgendo i canoni del western classico e svuotandolo di elementi tipici quali il lirismo, l’epica e la violenza. Un gioco al massacro tra quattro personaggi, nel quale la sceneggiatura (comunque prosciugata dal regista su consiglio di Corman) svolge un ruolo determinante nel delineare i caratteri dei protagonisti: il solitario e rude Willet, l’ingenuo Coley ed il nevrotico Billy Spear, tutti e tre manovrati da una donna misteriosa del quale non si sa nulla (neanche il nome) ma che muove le fila del racconto. L’alone di mistero di cui è impregnato il film ammanta così anche i protagonisti, dei quali vengono svelati pian piano i segreti e le reali posizioni all’interno della storia. Il ritmo lento e dilatato e la fotografia di Nestor Almendros che inquadra magnificamente un deserto infido e sterminato, contribuiscono a farne un’opera unica e imprevedibile. Il finale enigmatico e (forse) irrisolto rappresenta un colpo di scena inaspettato, e si interrompe senza farci comprendere come si concluderà la storia, o quantomeno dandoci la possibilità di immaginarlo. Del resto Hellman ci abituerà in tal senso anche nelle sue produzioni successive, con opere criptiche che conducono in direzioni di difficile comprensione. Il suo è un cinema anti-hollywoodiano, che fa dello smarrimento (dell’anima, di ideali, di una strada da percorrere) la sua cifra inconfondibile.

 

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