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Nói Albinói

Regia di Dagur Kári vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Nói Albinói

di maurizio73
6 stelle

Nell'orizzonte chiuso, grigio e freddo di un buco del culo del mondo a forma di isola, il sogno caleidoscopio di un lontano paradiso tropicale formato polaroid rappresenta l'ingenua prospettiva di un riscatto sociale che soltanto la tabula rasa di un evento catastrofico sarà in grado di propiziare.

Studente svogliato e perdigiorno di professione, Noi è un adolescente albino che vive con la nonna in una minuscola ed isolata località della costa islandese. Con un padre immaturo che alza spesso il gomito ed una insofferenza per l'autorità scolastica, il ragazzo passa il suo tempo tra uno svago e l'altro, sognado la fuga e riuscendo a legare solo con un libraio ignorante e con la giovane figlia di quest'ultimo. Quando viene espulso da scuola per le numerose assenze, la sua vita prende una china pericolosa; ma il futuro ha in serbo per lui una tragedia incombente ed un destino beffardo.

 

 

Noi, singolare maschile islandese

 

Il film d'esordio del trentenne Dagur Kári è un raccontto di formazione che, come nella più classica tradizione del cinema nordeuropeo, unisce alle istanze di un realismo votato al disincanto anche la stralunata comicità di una condizione geografica dove la disperazione è più spesso sinonimo di originali strategie di sopravvivenza che di uno scontato esistenzialismo legato a cupe prospettive nichiliste. Come per il Fucking Åmål dello svedese Lukas Moodysson o per il Turn Me On, Goddammit della norvegese Jannicke Systad Jacobsen, le inquietudini adolescenziali in un clima più freddo sono spesso il pretesto per un exploit del grottesco che rivela nel finale la sua soprendente ed inaspettata natura iconoclasta. Anche qui lo schema sembra ripetersi, ma con una insolita prospettiva maschile: quella di un prototipo fenotipico e sociale dell'anticonformismo e dell'eccentricita' che nella desolata omologazione di un ambiente piatto e geograficamente uniforme mostra la sua resilienza alla burocratica ottusità dell'ambiente scolastico ed alla grottesca irresponsabilità di quello familiare. Nell'orizzonte chiuso, grigio e freddo di un buco del culo del mondo a forma di isola, il sogno caleidoscopio di un lontano paradiso tropicale formato polaroid rappresenta l'ingenua prospettiva di un riscatto sociale che soltanto la tabula rasa di un evento catastrofico sarà in grado di propiziare suggerendo, nella compassata ironia di un racconto senza sussulti, il sarcastico risvolto di una morale secondo cui non proprio tutti i mali vengono per nuocere. Racconto tragicomico di garbata ironia, attraversato dalla dinoccolata noncuranza di un perdigiorno di talento che sa coltivare i rapporti umani e guardare con pragmatico disincanto ad un presente orfano di qualsiasi prospettiva ed opportunità future; persino quelle infauste previste da un pompiere chiaroveggente che legge a tempo perso nei fondi del caffè ed a cui rispondere con le azioni scomposte che preludono ad una fuga senza prospettive. Quasi sempre si sorride, anche se a denti stretti, tranne che nelle surreali ed esilaranti occasioni di un sostituto scolastico a forma di registratore o di una grottesca contrattazione delle misure legali di una fossa cimiteriale da scavare nel permafrost, il film dell'esordiente Dagur Kári finge di concludersi in tragedia con un finale beffardo, dove il rischio di una una tumulazione da vivi si trasforma nell'unica opportunità di sfuggire alla morte. Essere fuori dagli schemi spesso ti salva la vita.
Piccolo caso cinematografico del 2003, raccoglie numerosi riconoscimenti minori nei festival di mezzo mondo.

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