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Berlin Alexanderplatz (primo episodio)

Regia di Rainer Werner Fassbinder vedi scheda film

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La recensione su Berlin Alexanderplatz (primo episodio)

di EightAndHalf
7 stelle

Il canto dello straccione.

 

 

Uscire da una prigione ed entrare in un'altra prigione: Germania anni '20, mentre il partito socialdemocratico prima di Hebert e poi di Hindeburg tentano di far sopravvivere uno stato a forte rischio di collasso, Franz Biberkopf (che può voler dire, in tedesco, anche Franz <<testa di castoro>>) finisce di scontare una pena di quattro anni per femminicidio, e si ritrova ad affrontare improvvisamente il mondo, per poter ricreare una sua nuova Weltenshauung, una nuova visione del mondo che possa permettergli di affrontarlo, al contempo, e forse viverlo. Gran bevitore, sciupafemmine nonostante l'aspetto non proprio aggraziato, Franz promette a se stesso di rimanere onesto, anche se presto diviene consapevole che l'onestà è propria degli ingenui, e che intorno a lui sta un mondo corrotto e disonesto.

 

 

Fassbinder rovescia il Superuomo nietszchiano, non più un cammello che si trasforma in leone e poi in fanciullo, ma un cavallo che diviene un uccello e poi diviene l'uomo, lo stesso Biberkopf, costretto ad affrontare un Tristo Mietitore. E' lo stesso Biberkopf a proporre simili trasformazioni, riferendole dopo aver fatto il terribile incubo di una metamorfosi. E il riferimento è evidente, ma sottoposto a un capovolgimento totale, atto a definire una figura di inetto che rovescia il presupposto irrazionalistico della filosofia di inizio Novecento e preannuncia l'insofferenza e l'incomunicabilità del ventesimo secolo. Questo nonostante sia lo stesso Franz, all'inizio di Berlin Alexanderplatz, a pensare di aderire al Partito Nazionalsocialista, un partito finalmente coerente e concreto, diverso da quei compromessi politici che avevano infangato la Germania della Repubblica di Weimar (per poi, lui stesso, cambiare fazione, avvicinandosi ai comunisti e agli anarchici, dimostrando comunque grande ambiguità in termini ideologici).

 

 

Quest'uomo qui, per quanto qualunque possa apparire la sua vita, si distingue dalle altre persone qualunque. Quest'uomo qui ha per caso mancato di diventare adulto, ma adesso ci è vicino. E tutti quelli a cui capita questa rara disgrazia hanno quando sono vicini al vedere e dunque al sentire una certa tendenza a sapere e poi a scappare, a morire. Questa rara fatica ha sfiancato il loro corpo e la loro anima. Ma chi sarà interessato al mantenimento di una vita qualunque?

 

 

Franz Biberkopf è dunque un ideale di inetto anti-nietszchiano, non più capace di creare nuovi valori e quindi destinato a ritrovarli nel sesso e nell'alcool. Correndo di qua e di là in una Berlino che offre solo tenebre, fumo da osteria e proposte di disonestà, il protagonista tenta invano di mantenere una sua mediocre integrità, a costo di rinunciare allo spessore umano e alla dignità. Prima venditore di giornali, poi venditore di stringhe, riscopre le donne del suo passato e trova nuove donne nel presente, senza riuscire a dare alla sua vita una minima parvenza di stabilità, né tentando mai davvero di farlo, quindi volendo mantenere un'onestà evidentemente incoerente con il suo mondo: gli sfoghi e le ire, scaricate sul bere e sui rapporti umani ("l'unica cosa veramente importante nella vita") rivelano una frustrazione esistenziale che rende Berlino, pur nell'estensione dell'Alexanderplatz, una vera e propria prigione, tant'è che è frequente, nella prima parte di questo a suo modo unico sceneggiato televisivo, che Franz rielabori nella sua mente le regole a cui era sottoposto dentro la prigione, e guardi le cimase dei palazzi come le estremità superiori dei muri di un cortile di prigione. Una condizione di esiliato che ricorda molto l'herzoghiano Stroszek, e che richiama al rapporto fra individuo e società, frequente nella letteratura novecentesca.

 

 

L'incontro con Reinhold è il primo passo verso una nuova direzione, quella dell'incontro con la morte. Reinhold è proprio il Tristo Mietitore, l'unico a volere Franz davvero morto, se non dopo che su di lui aveva tentato di scaricare tutte le donne di cui si era stancato (e si verifica qui anche un inerpicato intrecciarsi di Eros e Thanatos). Il personaggio di Reinhold diventa vero e proprio simbolo della sofferenza di Franz, che dal canto suo si rivela spesso un ubriacone sempre divertito a giocare con la birra e la grappa e a farle parlare da dentro i loro bicchieri. Un personaggio, quello di Reinhold, che subisce continue variazioni, si maschera dietro una balbuzie poco grave e si rivela sottilmente crudele, cinico, a tratti disumano. Il superamento del conflitto con questo personaggio è proprio un passaggio fondamentale nella formazione di Franz: quest'ultimo infatti assume sempre maggiore conoscenza del mondo, e nelle contraddizioni di una Germania del compromesso, in cui i propositi rivoluzionari si accavallano alle insofferenze del proletariato, Franz diviene a poco a poco consapevole che nel mondo non può esistere altro che schiavitù, non si può far altro che adattarsi, e qualunque proposito rivoluzionario sembra stroncato sul nascere anche dal punto di vista ideologico. Triste, malinconico, pervaso di un sarcasmo traslucido e implacabile, sovente straniante, Berlin Alexanderplatz parla delle contraddizioni della vita dell'essere umano, e di come sia ironico, certe volte, "essere dall'una e dall'altra parte contemporaneamente", innamorati e traditori, fiduciosi e sfiduciati, vicini e lontani, onesti e disonesti. Perché i confini tra queste realtà formalmente antipodiche sono creati dalle credenze e dalle convenzioni dell'essere umano riordinato nella civiltà. L'essere umano che avverte un disagio continuo, che vede cambiare continuamente le persone intorno a lui, che le vede divenire false, ipocrite, mascherate, mai conoscibili sul serio, mai avvicinabili realmente. Non è un caso infatti che mentre prosegue, Berlin Alexanderplatz cominci a raccontare di una tormentata e funesta storia d'amore, fra Franz e Mieze, una relazione che fra una cosa e l'altra è pervasa davvero di continue contraddizioni e paradossi, ma che allo stesso tempo accetta su di sé tutte le fisiologiche contraddizioni di questo mondo, scontrandosi anche con la perfidia di Reinhold, e dimostrando quasi eccessivamente l'intento simbolista.

 

 

Per quanto riguarda la contestualizzazione storica, le scenografie sono un po' statiche ma fedeli al periodo raccontato, e si avvalgono anche di interessantissime reinterpretazioni culturali: dal momento in cui Franz perde il braccio destro egli viene continuamente confuso per un reduce di guerra, maltrattato come certe figure dei dipinti "oggettivi" di Otto Dix. Ma anche questo riferimento è capovolto: Franz finisce quasi per atteggiarsi, in certe situazioni, da imprenditore, interessandosi alla politica senza sapere mai davvero cos'è.

 

 

(Otto Dix, 1921, Il fiammiferaio)

 

 

L'uomo non è niente, senza tanti altri uomini.

 

 

 

Il vero difetto di Berlin Alexanderplatz è il suo presentarsi come un adattamento: Fassbinder non riesce a surclassare l'ostacolo del formato televisivo, utilizzando una telecamera molto mossa (elabora spesso carrellate virtuosistiche ma come castrate da scenografie un po' statiche) e ambientazioni a volte anche teatrali, in cui la forma è al servizio del contenuto, e si prende le sue libertà solo nel momento in cui appaiono delle didascalie sullo schermo, o interviene una voce fuori campo, a gettare nella coscienza dello spettatore diversissime chiavi di lettura, propositive, funzionali alla comprensione, ma fin troppo letterarie, invecchiate, l'elemento che stronca, purtroppo (spacciandosi per originale), il carattere innovativo e la problematicità profonda di Berlin Alexanderplatz. Allo stesso tempo, però, Fassbinder gioca con i leitmotiv musicali e con le immagini ricorrenti, come quelle dell'omicidio di Franz ai danni di Ida (sorta di peccato originale da espiare, ma mai vero e proprio senso di colpa), e la voce fuori campo, quasi la "voce dell'Essere, della Storia", a volte racconta aneddoti biblici o mitologici, a volte sembra leggere confusamente le righe di un giornale tedesco del 1920, tra conflitti internazionali e tensioni interne, oltre agli oscuri fatti di cronaca che rivelano l'irritabilità definitiva di un mondo al confine, affascinando, problematizzando, ma espletando troppo il proprio intento, quello di dare un quadro generale dell'epoca, penetrando, anche formalmente, in quelle contraddizioni che l'essere umano, in Berlin Alexanderplatz, sembra dover accettare. Ma che, formalmente, appunto, possono anche dimostrare un certo manierismo, così come nell'epilogo, da un lato sorprendente per il suo onirismo e per la sua originalità, ma che basandosi troppo dall'altro sulla reiterazione e su riferimenti un po' gratuiti alla Bibbia e alla storia dell'arte (si distingue su uno sfondo il Trittico delle Delizie di Bosch), per non parlare poi della Divina Commedia, cerca di penetrare nei deliri da malato mentale di Franz (inserendo sottofondi musicali nuovi ed originali), e non fa altro che ripetere sempre le stesse situazioni mischiando la maggior parte degli eventi della serie e mescolandoli in maniera irregolare, fino quasi a fare annoiare (un finale francamente tirato per le lunghe). Anche se proprio nel finale si fa chiaro il riferimento ai tempi oscuri che la Germania, dopo il 1928, con l'ascesa del Partito Nazista, avrebbe affrontato (insomma, lo "scoppio della bufera"), a dimostrare ancora come si voglia sottolineare il legame fra individuo e società, fra personalissimo flusso di coscienza e irrazionale flusso della storia.

 

 

Il pollo è fatto dall'interno e dall'esterno; esplode l'esterno, rimane l'interno; esplode l'interno, rimane l'anima.

 

 

Nonostante i difetti Berlin Alexanderplatz ha come tutto il cinema seriale ben fatto la capacità di rimanere vivo all'infinito.  E parlando di vita e di morte, sa parlare davvero di tutto, dimostrando quanto la vita però possa essere "niente", e senza saper nascondere, molte volte, le eccessive pretese non soddisfatte.

 

 

La morte di un bambino e la nascita di un uomo utile.

 

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