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Bande à part

Regia di Jean-Luc Godard vedi scheda film

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La recensione su Bande à part

di laulilla
9 stelle

Film affascinante veloce e coinvolgente, pieno di svolte e di sorprese: tutti gli appassionati di cinema dovrebbero conoscerlo.

È arrivato finalmente anche in Italia questo Godard del 1964, nell’edizione restaurata e proposta da Movies Inspired. Forse diventerà un DVD, accessibile agli appassionati che non saranno riusciti a vederlo: per ora la sua presenza nelle sale è alquanto limitata, ma ove possibile, la sua visione è raccomandabile per l’eccezionale qualità delle riprese e anche perché alcune scene avrebbero ispirato nei decenni successivi molto cinema, da Bertolucci  a Tarantino: un film minore (davvero?) che avrebbe lasciato un segno nella storia del cinema.

Rinunciando al colore e riducendo al minimo i costi grazie all’estrema semplicità della messa in scena e alla partecipazione di Anna Karina, sua moglie, protagonista col nome di Odile, Godard aveva tentato di rifarsi delle spese ingenti sostenute l’anno prima (1963) per Le Mépris (Il Disprezzo), costato una fortuna .
Siamo a Parigi, lungo la tangenziale che porta, costeggiando la Senna, alla prima periferia, grigia e squallida, ma molto autentica, con i suoi bar, gli edifici scrostati e privi di decoro, la varia umanità che la percorre in auto o in bicicletta.

Sono senza arte né parte Franz (Samy Frey), belloccio e disincantato e Arthur (Claude Brasseur), “intellettuale” che si presenta come Arthur Rimbaud e ruba i libri, ovvero i due amici che, a bordo di una vecchia Simca cabriolet, si preparano a realizzare il colpo grosso che hanno in mente, l’occasione di sistemarsi, senza rischi, per il resto della vita, senza dover lavorare, pronti a salpare, dopo, per altri lidi al di là dell’Oceano, fuori dal raggio d’azione della polizia francese.
Piccoli balordi, diversi nell’aspetto e nel carattere, i due, insieme a  Odile (la ragazzina che aveva seguito con Franz le lezioni della scuola d’inglese e che ora sembra attratta da Arthur), si accingono a entrare nella villa di una ricca signora, per mettere le mani su un ingente malloppo, neppure troppo nascosto,  della cui esistenza lei aveva imprudentemente parlato con Franz e che ora li avrebbe seguiti nella realizzazione del goffo e rischioso  progetto criminale, che involontariamente era stata lei a ispirare.
Dico subito che non vedremo un gangster movie, all’americana, perché a Godard interessa poco cogliere gli sviluppi di quel proposito: gli preme, invece, rappresentarlo direttamente nel suo divenire, a confronto con gli imprevisti del caso, fra le mille perplessità di Odile, le discussioni e i piccoli litigi dentro e fuori quell’auto, gli incontri fortuiti lungo la strada, le occasioni per ballare e per divertirsi tutti e tre, dimenticando per un po’ le ragioni del viaggio e i presentimenti cupi che continuano a turbare soprattutto la ragazza e in qualche misura anche Arthur, uomo cupo e pessimista, lontano dal cinismo razionale e incosciente di Franz.

Scorre davanti ai nostri occhi, in presa diretta, la realtà parigina dell’epoca, e anche quella, molto universale, dei tre giovani, un po’ scombinati e, come molti loro coetanei, pieni di sogni, di speranze; innamorati non sempre sul serio. La voce del regista, fuori campo, sembra invitarci a  considerare il non detto delle immagini  ricordandoci, con molta ironia (e soprattutto senza giudizi morali) la finzione della narrazione cinematografica.
Alcune scene si imprimono nella nostra memoria e non l’abbandonano: quella del ballo a tre (che cita Truffaut in modo del tutto originale):

quella della fuga attraverso il Louvre

che Bertolucci avrebbe rifatto a colori, quasi identica nel suo The Dreamer; quella delle alterne esitazioni di Odile dentro il bar, luogo nel quale un minuto di silenzio sospende magicamente il fluire delle immagini, ma non la nostra attenzione.

Film affascinante veloce e coinvolgente, pieno di svolte e di sorprese: tutti gli appassionati di cinema dovrebbero conoscerlo.

 

 

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