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Bande à part

Regia di Jean-Luc Godard vedi scheda film

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La recensione su Bande à part

di EightAndHalf
7 stelle

Bande à part è una concatenazione di triangoli mai equilateri ma scaleni in infiniti modi diversi. Triangoli confusi, sconnessi, in costante movimento. Un po’, nella loro costante sostituzione, il vero motore del dinamismo cinematografico. Bande à part è irrisolto flusso filmico, ingenuo ed adorabile nonsense che, nella sua idealistica gioventù eterna, aspira a cambiare davvero il mondo. E lo fa con grazia e suggestivo candore: è la misuratezza con cui Godard riesce a fare sperimentalismo visivo. Bande à part è, in un cinema godardiano ancora non esplicitamente politico, Resistenza ai canoni, alle leggi, alle convenzioni, e in quanto costruttiva ed esaltante pars destruens, non va da nessuna parte, rifugge la tesi o la morale e si indirizza verso un folleggiante incedere spavaldo come i suoi protagonisti, un pudico ménage a trois in cui l’attrazione erotica è invasata e travasata nell’attrazione intellettuale ed è una forza che si impegna ad impregnare di sé anche lo spettatore. Bande à part  ha la valenza individuale e semicatartica di uno sciopero di giovani, un infantile mettere in gioco tutto per proporre in alternativa un bel niente, solo una forma sprizzante energia, fonte di ispirazione. Come in tutte le massime espressioni della Nouvelle Vague il film di Godard è un godersi la cultura mandandola a quel paese, senza esitazioni e senza perplessità, una danza che si presenta ibrido di tradizionalismo, opposizioni e avanguardismo: da un lato il dimostrare continuo di conoscere una cultura e in un certo senso la continua spinta verso un maggiore senso di appartenenza e di conformità; da un altro lato ancora la destrutturazione dei mitici simboli della globalizzazione capitalistica (il western americano), tutti dentro l’inglese studiato e che pure porta con sé autori come Shakespeare ed Eliot; e infine la corsa dentro il Louvre, la deformazione della narrazione filmica, un marinettiano “distruggiamo tutti i musei” che è anche un godardiano “ricostruiamoli uguali solo in movimento”, altre opposizioni ancora che nel loro guazzabuglio gradevole e scorrevole portano necessariamente a un oggetto mai costretto o limitato, ma furibondo e autonomo dal suo creatore, incapace anche lui di comprendere quando è bene inserirsi come voce fuori campo e quando è più conveniente narrare i sentimenti dei suoi personaggi. Interruzioni improvvise di musiche, montaggi frenetici, parodie di noir e sberleffi anacronistici al polar, tutto un gran pentolone che stava formando un nuovo cinema e lanciando le sementi per esprimersi in tutta la sua miticità. Bande à part è l’incontro fortuito dei suoi tre protagonisti e il loro costante movimento da piccolo Caos ancestrale e antiborghese, brodo primordiale e adrenalinico fatto di puro fascino e di sogno, un’alternativa al reale che prende consistenza e si appaga della Morte e dell’Amore per ridurli a macchie sullo schermo che potranno essere pulite, riasciugate e reimpresse con un frettoloso gesto di eterno dinamismo. Bande à part è il gasolio della Settima Arte, un classico infinito, ultra citato e super ammirato, il Godard che fa l’ostico senza dover essere coraggioso e fa il saccente senza fare l’arrogante. Solo, Bande à part è nel bivio in cui l’opera deve separarsi dal suo artefice e dal suo fruitore, e più che decidere sceglie di prendere una strada, tornare indietro, attraversare zone non carrabili e zigzagare sui bordi dei sentieri, come saltellando nel gioco della campana. È necessario dunque prendere sul serio la mancanza di serietà, e capire che dopo un’infanzia c’è un’adolescenza e dopo un’adolescenza un’età matura, e ci vorrà (ci è voluto) poco perché Bande à part diventi (diventasse) ricordo nostalgico che come un nous intramontabile ma preso da solo insignificante germinerà nell’arte successiva, fino all’arrischiato oblio odierno. Bizzarro, ubriaco, pura joie de vivre, massimalista e riflettente amour fou, il filo di Arianna di una nuova Arte e di un nuovo specchio del Reale.

Franz pensava a tutto e a niente. Non sapeva se era il mondo che stava diventando sogno, o il sogno mondo” (una parentesi per inquadrare i sentimenti dei personaggi)

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