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Bande à part

Regia di Jean-Luc Godard vedi scheda film

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La recensione su Bande à part

di mm40
6 stelle

Non sorprende che sotto sotto questo Bande à part, settimo film diretto in quattro anni da Godard (escludendo corti ed episodi di film collettivi), sia una sorta di inno alla fuga, il racconto di tre personaggi male assortiti e attraversati da un vivace desiderio di cambiamento. Non sorprende perchè questo è il Godard dei primissimi lavori: fuga dalle convenzioni (borghesi, della vita in compagnia, della famiglia e via dicendo; ma anche del cinema e delle rigide impostazioni tecniche) e fuga dal passato, scegliendo l'incerto per il certo; questa si chiama altrimenti sperimentazione ed è una delle carte vincenti dell'autore, uno che non ha smesso di ricercare nuove strade neppure a ottant'anni suonati. Godard compare inoltre come voce fuori campo, un ironico narratore che di tanto in tanto sente il desiderio di intervenire sulla storia (tratta da un racconto di Dolores Hitchens con una sceneggiatura dello stesso regista) per subito pentirsene, ritrattando e quasi togliendo il disturbo (ad es. il narratore prova a dirci qualcosa di più sui personaggi, salvo poi dichiarare esplicitamente che trova più interessante che siano loro stessi a rivelarci chi sono e cosa pensano). Insomma, Bande à part è lontano dal cinema classicamente inteso e codificato esattamente quanto la critica dei Cahiers, da cui Godard proveniva, era lontana dagli stereotipi critici a lei precedenti, lontana dalla forma-film ormai terribilmente invecchiata ed eccessivamente schematica: è la cosiddetta politica degli autori, quella Nouvelle vague che assume sempre più fama a livello mondiale anche grazie a pellicole come questa. In un miserabile bianco e nero metropolitano (con molto risalto alle strade, su cui si svolgono più scene, e finale ambientato in campagna) fotografato da Raul Coutard (già con Godard per Fino all'ultimo respiro o La donna è donna; ma anche con Truffaut per Tirate sul pianista e Jules et Jim), ecco che Bande à part offre l'occasione anche per una nostalgica rievocazione del cinema del passato, citato a più riprese dai due protagonisti maschili (il noir, il western): ma Godard non era l'innovatore, quello che riteneva sorpassati e schematici proprio questi prodotti 'di consumo', privi di una traccia autoriale? La contraddizione, ebbene, è un altro dei marchi di fabbrica del cineasta francese: nulla di sorprendente. Nel terzetto di protagonisti la donna è Anna Karina, compagna del regista dal 1960 e sua musa di quegli anni; i due ruoli maschili sono invece affidati all'ancora non molto noto Sami Frey e a Claude Brasseur, dalla carriera già avviata. I limiti dell'operazione sono quelli noti del cinema godardiano: dialoghi che sconfinano nella pura speculazione dialettica, momenti morti, sperimentazione cruda che può entusiasmare quanto irritare (es. a un certo punto i tre personaggi, non sapendo che fare, decidono di fare un minuto di silenzio: scompare la banda sonora del film per una manciata di secondi, poi si stancano del giochetto e ricomincia l'audio). Fra i momenti memorabili però c'è (perlomeno) la corsa dei tre attraverso i corridoi del Louvre, scena ripresa poi da The dreamers (2003) di Bernardo Bertolucci; anche Quentin Tarantino mostrerà il suo affetto verso questo film, chiamando la sua casa di produzione A band apart. 6/10.

Sulla trama

Due amici fannulloni conoscono una bella studentessa di lingue e la convincono ad aiutarli a rapinare la ricca zia di lei; ma le cose non saranno affatto semplici per i tre.

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