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Lost in Translation

Regia di Sofia Coppola vedi scheda film

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La recensione su Lost in Translation

di alexio350
8 stelle

Giappone. Dal piano alto di un lussuoso albergo lo sguardo di Charlotte (Scarlett Johansson) si perde sugli edifici giù in basso, nell'area grigio-perla di un giorno qualunque, sulla città di Tokyo. È venuta qui ad accompagnare il marito, un fotografo che deve fare un servizio su un gruppo rock. Nello stesso albergo c'è Bob (Bill Murray), un tempo attore di successo. Lui è venuto a Tokyo per girare una pubblicità per una marca di whisky.

 

Lost in Translation è anzitutto questo: la storia di due persone sole che si incontrano per caso. Charlotte è giovane, si è sposata da poco ed è ancora in cerca di se stessa. Ha dubbi sulle proprie capacità e sul proprio matrimonio. Bob è un attore disincantato con lo sguardo di chi ne ha viste troppe. Ha dei figli, una moglie che a distanza lo tiene monitorato tramite telefono e fax; e gli fa pesare la pausa di libertà che si sta concedendo in Giappone - lontano dalle responsabilità famigliari - con continue frecciatine e rimproveri velati. Quando Charlotte e Bob si incontrano in questo fantomatico albergo scatta qualcosa: c'è questa perfetta alchimia nel trovarsi perduti entrambi a Tokyo, soli nonostante entrambi siano sentimentalmente impegnati, nella medesima situazione di stallo malgrado siano alle sponde opposte della vita: Charlotte è una ragazza che non ha ancora fatto (quasi) niente, Bob è un uomo che ha già fatto (quasi) tutto. Fuori c'è un paese incomprensibile, un mix perfetto di estrema modernità e misteriose tradizioni antiche: sale giochi ultratecnologiche, edifici che paiono venire dal futuro e templi che trasudano ancora una dimensione spirituale incontaminata. Sofia Coppola con grande ironia riprende, ad esempio, un Bob sbigottito davanti alle tende della sua camera che di mattina si aprono da sole. O segue in silenzio Charlotte mentre si perde per i templi, in una dimensione eterea, ferma nel tempo. È comica la cortesia estrema dei giapponesi, comunque; comica la loro estrema e servizievole disponibilità. E Sofia parla di cose di cui ha un'esperienza più o meno diretta: in passato ha soggiornato a Tokyo per lavoro.

 

In questo scenario straniante Bob e Charlotte sono come due naufraghi su un'isola deserta. In pochi giorni nasce tra loro un affetto sincero, una sintonia di due anime che vanno in cerca l'una dell'altra per trovare qualcosa di famigliare, un punto fermo dentro un paesaggio alieno. Non ci sono i presupposti perché nasca una relazione sentimentale: i due sono di età troppo distanti, sono entrambi impegnati e soprattutto Sofia Coppola non è una sceneggiatrice (e regista) così banale. Ma nasce una amicizia vera, come può esserla quella tra uomo e donna: dove il primo riveste in questo caso soprattutto il ruolo di padre, e la seconda il ruolo di figlia. Attenzione: perché una amicizia tra un uomo e una donna nasconde sempre la possibilità di trasformarsi in qualcos'altro: c'è sempre una componente sentimentale, uno sguardo verso un altrove distante. Ma in questo caso l'amicizia è destinata a nascere e a finire nell'arco di pochi giorni, nell'arco di una breve e fugace vacanza, parentesi della vita vera: per questo la scena finale in cui Bob e Charlotte si abbracciano, per separarsi e probabilmente non rivedersi mai più, è una delle scene più malinconiche e struggenti che si siano viste al cinema da molti anni a questa parte.

 

Premio Oscar alla migliore sceneggiatura originale per Sofia, talentuosa figlia d'arte, Lost in Translation è diventato in breve tempo un cult, complice anche l'azzeccatissima colonna sonora (si sentono di sottofondo brani dei Phoneix, degli AIR, dei The Jesus and Mary Chain ecc...) e l'ottima interpretazione sia di Murray che della Johansson.

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