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Twentynine Palms

Regia di Bruno Dumont vedi scheda film

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La recensione su Twentynine Palms

di FilmTv Rivista
4 stelle

Twentynine Palms è un film vecchissimo, atroce. Il suo regista Bruno Dumont, dopo l’interessante L’età inquieta e il problematico e compiaciuto L’umanità rivela che il monumento visivo che sta erigendo alla sua poetica è prematuro e con fondamenta friabili come la sua concezione del Cinema. I suoi sono pretenziosi manufatti che riflettono, con molti decenni di ritardo, sulla durata (per lo spettatore questa elucubrazione si traduce in una noia abissale), sulla bassa definizione di personaggi non rotondi e odiosi (i suoi dialoghi - qui - sono interferenze vocali, rumori fatici, grugniti da orgasmo, ripetizione di una dozzina di vocaboli) e sulla relazione non originale tra figure e paesaggio (Wenders, Antonioni e Ferreri - solo per citare tre nomi - avrebbero sviluppato questo incastro di corpi e rocce, vuoto geografico e vuoto dell’anima in modo meraviglioso). Si potrebbe continuare nell’elenco delle questioni su cui l’Autore Dumont suppone di avere una qualche verità da scoprire ai danni dei suoi attori e dei suoi spettatori. Due deficienti (candidati, dalla prima sequenza, al disastro) si aggirano con una certa dilatata casualità nel deserto californiano, Lui è un fotografo che sta facendo dei sopralluoghi e lei è una donna forse amata, certamente desiderata con fellatio in piscina da soffocamento, amplessi sulle rocce da body-landscape-art o nella triste e desolata camera di un motel. Sesso a morte, repubblichetta dei sensi, disamore fou. Tra litigi, lezioni di guida, polvere, risate, bronci da schiaffi, coiti disperati e ridicoli, un gelato o un piatto cinese, esasperanti cambi d’umore, pipì all’aria aperta, passeggiate a piedi nudi nel villaggio sperduto, incontri con cani meno randagi dei protagonisti, sgommate premonitorie, urla violente, automobili che vanno avanti e indietro, passano i giorni (molto più che un tranquillo weekend di paura) prima dell’annunciato tragico, violento, scontato finale di sangue. Il deserto californiano è bello ed è facile da inquadrare e questa non è certo una scoperta epocale del regista. I due attori, Katia Golubeva e David Wissak, sono sopraffatti da due ruoli di maniera, scritti molto male, e sono entrambi abbandonati alla loro isterica altalena. Dumont sembra detestare in maniera irreversibile i suoi interpreti. Molte inquadrature sono belle, ma il merito è soltanto della natura.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 21 del 2004

Autore: Enrico Magrelli

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