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Twentynine Palms

Regia di Bruno Dumont vedi scheda film

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La recensione su Twentynine Palms

di ROTOTOM
2 stelle

David ha la macchina grossa perché ha il cazzo piccolo, e lei giustamente vuole guidare la macchina grossa. Nulla, nulla, nulla.
Katia piscia tra i pilastri di sostegno delle pale eoliche. Deserto, deserto, deserto.
Lui la tromba in piscina, gorgogliando. Lei gode, poi s’incazza. Poi ride. Poi s’incazza.
Deserto. Nudi su una roccia, 23 minuti di estenuanti lungaggini sullo scalare le rocce.
Buona notte col cazzo in mano. Nulla, nulla, nulla. Deserto deserto deserto.
Bla. Bla. In macchina bla bla. Poi lei è nervosa. Fugge, chissà perché. Schiaffi in mezzo ad una strada di notte e non passa nessun Tir a dar pace ai due dementi che è tardi e domani devo alzarmi presto. Deserto deserto. Sguardi smarriti.
Violenza. Grossa violenza. Male. Tanto male. Lui è ferito nel culo e nell’anima. Lei cincischia qualcosa, blatera bibibi bobobo. Lui esce dal bagno rasato e l’uccide. Fine.
 Antonioni riusciva ad annoiare meglio.
 David è un fotografo zazzeruto in cerca di location per nuove creazioni. Ha la faccia di uno che alla parola “esposimetro” comincia a battersi il petto come una scimmia.
 Katia è francese, molto francese, dalla voce sibilata direttamente dalla gola le cui parole paiono piovergli in testa da un altroquando infelice e lei che le ripete stupendosi.
Sciatta di quella sciatteria snob, falsamente incurante della propria bellezza, istericamente aggrappata allo stereotipo dell’anticonvenzionale a tutti i costi infilata in maglioni informi obbligatoriamente con le maniche portate a coprire metà le mani.
E’ un simbolo, questo, molto preciso, di noncuranza calcolata come lo sporcarsi di gelato, ridere e piangere nello spazio di due minuti, estremizzatrice della volubilità emotiva nel quale isteria e depressione convivono in piena armonia nella grande casa del male di vivere. Ragazza da prendere a calci nel culo dall’alba al tramonto.
Stereotipi di personaggini scritti veramente molto male. 
I loro corpi galleggiano in un nulla fatto di vacui discorsi, riprese mozzafiato di deserto, corpi nudi che provano a fondersi nella natura, inutilmente, mentre lo sguardo di Dumont è paraculo, autoreferenziale e snob, disperatamente autoriale nella ricerca di un’inquadratura ad effetto, nella ricerca di un senso filmando la sua negazione (ritrito trucco di chi non ha idee)  nell’indagare di corpi glabri stucchevoli nelle performance erotiche che  nulla hanno  di disperato, nulla di erotico. Sono solo fastidiosamente pose posticce nelle quali mai si va a fondo, mai si fa sul serio.   
 Sospensioni temporali che non sottintendono nulla, millantati coiti isterici, barriti d’orgasmo, improvvise esplosioni di iper emotività immotivata, sberle a caso.
Necrosi di un cinema ripiegato su se stesso, indisponente e presuntuoso, cinema morto che cerca disperatamente l’indispensabile capezzolo della derisione e dell’ incomprensibilità come nutrimento per la  propria spravvivenza. 
Il cinema ha in seno equivoci di questa portata, anelli che idealmente chiudono la circolarità dell’arte cinematografica unendosi agli opposti speculari tipo Angeli e Demoni: il nulla si fonde al nulla, tutto il resto è arte.

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