Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film
Il rapimento e l'uccisione di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse resta uno degli episodi più cruenti degli anni di piombo, su cui a distanza di anni pare ci sia ancora molto da dire e da discutere. Argomento di estrema complessità per le valutazioni positive o no sulla figura politica di Moro; per le lettere giudicate da alcuni esecrabili che egli scrisse durante la prigionia, dove pregava - a destra e a manca - una trattativa coi brigatisti per la sua liberazione; per gli aspetti oscuri o quantomeno non chiari che avvolgono ancora quegli accadimenti. Marco Bellocchio dirige un film che non ha palesemente l'ambizione di mostrarci tutta la complessità del caso, ma che si focalizza sugli aspetti minuti di una prigionia durata 55 giorni. Ad emergere, più che altro, sono le spaccature all'interno del fronte dei terroristi: alcuni convinti di volere ammazzare l'ostaggio, poiché la lotta operaia non conosce pietà per nessuno, nemmeno per la propria madre; altri più tolleranti e pronti a una soluzione diversa. Tra questi l'unica donna (Maya Samsa) volto femminile e fragile del terrorismo senza compassione. Il film di Bellocchio, nella sua essenzialità, getta uno sguardo interessante su un episodio cardine degli anni di piombo, cercando di farci capire qualcosa di più. Non esaustivo (ben difficilmente avrebbe potuto esserlo), e senza pretese di esaustività, può essere visto come un "bigino" visivo per approfondire una tragedia della storia italiana dalle mille e più sfaccettature.
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