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A Time to Live, a Time to Die

Regia di Hou Hsiao-hsien vedi scheda film

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La recensione su A Time to Live, a Time to Die

di EightAndHalf
8 stelle

Il rigore formale della regia di Hou Hsiao-hsien è un balsamo per gli occhi e per l'anima. Nonostante sia permeato di espliciti riferimenti autobiografici, A time to live, A time to die non è contaminato da ripiegamenti nostalgici fastidiosi e pedanti, ma sembra davvero ricondurre la propria estetica alla modalità della cronaca, del resoconto umano ed esistenziale, inquadrando situazioni e immagini come fossero foto che solo lo sguardo può nobilitare e rendere immortali (basta pensare alla sequenza in cui si fa una foto di famiglia, e noi vediamo dalla prospettiva dell'obbiettivo della macchina fotografica, osservando i corpi immobili dei personaggi). In questo modo il film si rende universale, dal respiro amplissimo, e non rigurgita né folklore, né idealizzazioni, né pessimismi magari involontari (anche se, certo, non è l'ottimismo la prospettiva filosofica di Hou), ma si limita a registrare l'amarezza di un ciclo vitale e mortale al contempo, in cui un singolo stacco può far passare un'intera era o può impiegare anche meno di un attimo fuggente, rendendolo, alla memoria, un film plasmabile, arricchito da sentimenti che, è vero, suggerisce il commento musicale, ma che sanno farsi strada spontaneamente, naturalmente, senza sforzi, come si addice solo ai grandi film.

 

 

Il ritratto di questa gioventù sa essere realistico e incantevole, soggettivo e oggettivo, razionale e irrazionale, al contempo, non gestendo queste dicotomie in sequenze tra di loro antipodiche, ma fondendo entrambe le tendenze e facendole collimare in un unico sguardo spesso immobile ma vibrante e partecipe: si potrebbe pensare che sia Ozu l'influenza principale, e come dare torto a chi lo ritiene in toto, considerando le inquadrature fisse e l'umiltà umana che spesso viene messa in scena. Ma in realtà siamo in territori molto diversi, anche se sempre in grado di confrontarsi con il tempo (qui di un'esistenza, in Ozu di un'intera nazione): Hou sceglie un taglio meno regolare, quasi più mistico, a contatto con il fluire stesso del tempo, trascendendo l'atto stesso della cronaca, e osservando la sua stessa infanzia e adolescenza con lo sguardo intenerito ma problematico di un adulto fin troppo cresciuto, memore di emozioni e di straccetti di sfuggente ardore che si espletavano da bambino nei giochi con i coetanei e da adolescente con la partecipazione a una banda di strada (e più che a Ozu, queste parole richiamano più il Reitz di Heimat, considerando la rilevanza che il luogo/non-luogo assume). La sua fantasia infantile lascia concretamente i segni su quella terra, quell'isola di Taiwan in cui scappò un'ingente minoranza di cinesi a seguito della Rivoluzione Popolare, e accanto a quei segni stanno anche la disillusione e il tedio degli adulti che, appartenenti alla vecchia generazione, non avvertono alcun tipo di afflato emozionale nei confronti di quel luogo, e finiscono per ripiegarsi su se stessi e a vivere di ricordi da pronunciare ai propri figli come a comunicare la propria tormentata interiorità. Ecco che nelle parole dei due genitori si destreggiano sensi di colpa, nostalgie, ricordi di vecchie bellezze, e invece trionfa una consapevolezza storica che sicuramente sta anche in Hou, ma che si riflette nel film solo in parte, nascondendosi dietro uno sguardo apparentemente freddo e distaccato, che non tiene a contestualizzare e trasforma un mondo in una terra di ricordi.

 

 

Che poi la morte risvegli gli animi compressi fra voglia di vivere e inerzia è inevitabile, quasi prevedibile, ma l'antispettacolarità di A time to live, A time to die sta proprio nel voler essere al contempo intimo di un solo personaggio e di chiunque altro essere umano, e nell'identificare nel proprio ciclo vitale il ciclo vitale di ognuno che, pur nel disgusto della morte fisica (la morte della nonna, che non riesce a controllare i propri escrementi), sa trovare un segno tangibile di come il tempo non tornerà più, e di come qualsiasi infanzia, nella sua banalità, è un ramoscello di puro incontaminato splendore.

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