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L'eclisse

Regia di Michelangelo Antonioni vedi scheda film

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Death By Water

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La recensione su L'eclisse

di Death By Water
10 stelle

Antonioni affida il racconto, più che alle saldi mani della sceneggiatura (di Tonino Guerra come accadeva per il resto della "Trilogia") a una poetica visuale, in cui scomposizione e composizione dei piani vanno di pari passo. La rarità dei piani sequenza è fattore comprovato: ve ne sono soltanto in prossimità dei primi piani dei due protagonisti. Per il resto si assiste a un frazionamento convulso, a piacimento dell'autore, scatti fulminei della macchina da presa, istantanee, sequenze fugaci, frammenti lirici della visione. Questo continuo e incessante rimando alla frammentazione nel metodo di montaggio è il sintomo, a livello operazionale, di ciò che accade, o meglio si vede nel corso del récit: il frammento visivo trova ulteriore messa in luce nel vociare scomposto, disarmonico e debordante nelle scene che si svolgo alla Borsa di Roma. Esso poi usufruisce di un fattore di amplificazione se considerato il contenuto stesso delle immagini, immerse nel trubinio avvolgente dei tagli e dei frazionamenti: il fatto principale è che il mondo ritratto dalla camera abbia una sua sostanza solo come oggetto geometrico, corpo avente una precisa presa di coscienza dello spazio. Svariati i rimandi come ad esempio il cumulo di mattoni che deformano la superficie visiva sezionandola in un'infinità di spazi dfformi; le barriere onnipresenti, basti pensare alla scena in cui Delon va a trovare la Vitti sotto casa e le parla da sopra il marciapiede, mentre lei è appoggiata alla ringhiera del suo ballatoio al primo piano di una moderna palazzina nel quartiere Eur di Roma; appunto, l'architettura di questi nuovi spazi urbani, regolari silenziosi, crivellati da aperture insondabili, oscurissime(più volte le finestre vengono usate come contenitori di ignoto, mostrando persone che si affacciano all'improvviso, o al contrario nascondendo i loro volti dietro le persiane); tutto questo rigore nella costruzione dello spazio va a discapito della natura, che invece di crescere selvaggia, primordiale, viene disciniplinata fino a renderla inoffensiva, vedi scena al giardino di nuova costruzione con gli abeti potati di fresco e il getto d'acqua che irrora il pratino sminuzzato ad opera d'arte come se fosse una moquette e non un pezzo di terra verde. Questo tenore asettico del decoro è fondamentale e fa da specchio alla pochezza d'animo dei personaggi (eccetto la Vitti): Rabal, pur interpretando l'uomo ferito si trova in una zona di confine, nel senso che non si capisce quanto sia vera la portata del suo attaccamento sentimentale; Antonioni credo che riesca a fugare ogni dubbio soffermandosi più sul campionario di "soprammobili intellettuali" che riempiono la sua casa, piuttosto che sulle reazioni (sommesse, incomprensibili, inesisntenti) sue, tuttavia non avvenute; Delon è un animale da quattrini, vuoto, un ring nel silenzio di uno studio notarile che si perde nel vento; la Brignone credo che sia la peggiore del trittico per tratti suoi peculiari, già perché donna che si vuole credere buona ad imporsi in un universo prettamente maschile, poi perché facente parte di quella middle-class romana degli anni sessanta venuta su con azzeccati percorsi commerciali postbellici e avida sin nel midollo, tanto da giocare in Borsa liquidità inverosimili per guadagnare di più, di più. Dall'altre parte c'è Monica Vitti, una donna di carne e sangue ma affetta da una male di vivere che certo nessuno lenisce nel corso del film, anzi. Sebbene fosse all'epoca la compagna del regista, si trova particolarmente in parte qui, riesce a far virare il suo sguardo dalla spensieratezza alla malinconia, come si trattasse di qualcuno che si è perso ed esulta per ogni indizio che trova sul cammino, e poi, giusto dopo, si affrange per aver subito un'illusione, l'illusione dell'amore, per intendersi; il quale, nonstante tutto, rimane l'unico modo possibile per riuscire a far breccia tra quei perimentri di cornicioni, marciapiedi, passaggi pedonali, scie luminose dei lampioni, labirinti di saracinesche...il brutto è che anche il cuore umano sembra avere la stessa, sconcertante e labirintica forma della periferia di Roma.

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