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L'eclisse

Regia di Michelangelo Antonioni vedi scheda film

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La recensione su L'eclisse

di Aquilant
8 stelle

Inizia in maniera travolgente, con l’”Eclisse twist” di Mina a tutto gas sui titoli di testa, ben presto sopraffatta da una musica stridente che con quella sua accorata ripetitività già sembra sconfessare il brano precedente in base al quale “le nuvole e la luna ispirano gli amanti” e renderci partecipi della visione di un nuovo canovaccio di noia ed alienazione, introdotto da una coppia dagli sguardi completamente assenti, fissi nel vuoto, che s’incrociano di tanto in tanto senza convinzione. Silenzio, soltanto silenzio come protagonista assoluto, segno che la dissoluzione totale dopo un’”avventura” ed una “notte” sta bussando oramai alle porte. I volti appaiono segnati da un’anodina presenzassenza, i gesti costellati di ripetitività, si respira snervante l’attesa di un simpatetico accenno di vita prossimo venturo. Echi di savana africana intesi come possibile via di fuga da un’esistenza che si consuma nella tetraggine quotidiana, in un ambiente esterno ammantato di un sentore di dissoluzione, preludio di un caos incombente investito di un potere disgregante e della facoltà di ricomporre il tutto come in un puzzle animato. “L’ECLISSE”, storia di disgregazione e di riaccomodamento di finzioni amorose, nel frastuono più assoluto di “nuova” gente di Borsa, razza anelante a metaforiche scalate, dalle radici non ben piantate nel terreno, che col suo grido di esistenza controbilancia osmosi di silenzi codificati e compulsivi, parole altrove non dette, contegni reiterati all’infinito. Presenze inquiete descritte fino ai limiti del parossismo, aspiranti debuttanti al ballo di gala di un incipiente boom economico ancora ai suoi albori che si sbracciano, lottano, sudano, anelano, soffrono, piangono mentre la battaglia divampa, la tensione si fa palpabile, la disfatta incalza all’orizzonte tra bastogi e mediobanche in picchiata libera ed il miraggio di un facile arricchimento che sfuma come in un deviante sogno notturno. Atmosfere di realismo esasperato abbozzate con tocchi decisi di densi bianchi e neri immersi in un assoluto contrasto tonale. Frenesie che diventano insostenibili. Tensioni spasmodiche impresse sui pallidi volti immersi nella bolgia infernale. Impietosi primi piani ravvicinati di vittime immortalate al momento della caduta. “L'ECLISSE", destrutturante storia di un amore destinato ad estinguersi sin dalla nascita sulle strade aliene di un probabile ferragosto in una Roma spogliata dei suoi abitanti, idillio minimalista che si consuma in trite frasi di circostanza: “Già sei qui?” “Credevo di essere in anticipo.” “Sono io che sono arrivato prima.” “Che facciamo?” “Andiamo da qualche parte.” “Casa mia?” “Casa tua.” Storia senza storia di una Vittoria che vorrebbe non amare o amare molto meglio, che “non ha nostalgia del matrimonio perché non si è mai sposata” e di un Piero, moderno vampiro di Borsa che si nutre del pianto della povera gente. L’ECLISSE ovvero NIENTE ovvero RUMORI DI STRADA, PASSI DI DONNA CHE SPINGE UNA CARROZZINA, STACCIONATE, IMPALCATURE A NON FINIRE, TROTTO DI UN CAVALLO DI PASSAGGIO, COLONNE TRANSENNATE, STORMIRE DI FRONDE, VUOTO ASSOLUTO DI STRADA VIOLATO DA UN AUTOBUS, SCORRERE D’ACQUA IN RIVOLI, ANIME IN ATTESA, RUOTE CHE STRIDONO, ECHI DI DEBOLE PACE, GEOMETRIE DI PALAZZI ED ACQUA, ACQUA, ACQUA CHE INVADE CREPACCI, LAMPIONI CHE SI ACCENDONO, LA NOTTE IN AGGUATO, ULTIMI PASSANTI FRETTOLOSI, NOTTE FONDA, LAMPI CHE SQUARCIANO IL BUIO, BIANCO, BIANCO, BIANCO ASSOLUTO e la parola FINE sull’eclisse dei sentimenti col sottofondo di una musica che sembra provenire dal profondo nulla. E poi solamente il deserto (rosso?).

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