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Un lupo mannaro americano a Londra

Regia di John Landis vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Un lupo mannaro americano a Londra

di sasso67
8 stelle

Quando lo vidi per la prima volta, mi aspettavo un horror comico, forse perché Un lupo mannaro americano a Londra veniva dopo Animal House e The Blues Brothers. In realtà, il film di Landis è tutto tranne che comico. Fin dall’inizio si respira un’atmosfera inquietante, che si trascina per tutto il film, con qualche intermezzo che si potrebbe definire bizzarro, come le apparizioni di Jack (Griffin Dunne), che anche da fantasma continua di giorno in giorno a putrefarsi sempre di più. Direi che si tratta di un ottimo horror, che si giova di un’ambientazione realistica e senza le limitazioni auto censorie cui dovevano soggiacere i prodotti di trenta o quarant’anni prima. Secondo quanto rivelato dal regista, i protagonisti Jack e David (David Naughton) sono morti (o quanto meno sono condannati a morire presto) fin dall’inizio, come testimoniano alcuni indizi messi lì non a caso dalla sceneggiatura: nella prima inquadratura, infatti, i due ragazzi sono fatti scendere dal cassone di un camion nel quale si trovano insieme ad un gregge di pecore, dove stanno rannicchiati come agnelli, cioè l’animale sacrificale per eccellenza; il camionista, nel farli scendere, augura loro un “in bocca al lupo” di cattivissimo auspicio; i due entrano nel bar – locanda “L’agnello macellato”, dove sono accolti con estrema diffidenza dagli avventori; i due ragazzi non fanno niente per essere accolti bene: sono stranieri (americani), non bevono birra né altri alcolici e fanno domande sconvenienti (circa il pentacolo disegnato sulla parete); quando escono dalla bettola, infine, l’angelo immortalato sulla piazzetta del villaggio volta loro le spalle. Landis, poi, conduce questa sua danza lunare - geniale l’idea di punteggiare la narrazione con canzoni che fanno riferimento alla luna: varie versioni di Blue Moon, Moondance di Van Morrison, Bad Moon Rising dei CCR (e peccato che Cat Stevens rifiutò di concedere la sua Moonshadow) – con mano ferma e la solita grande tecnica fino alla sua logica conclusione, secondo il filo di riferimenti cinefili, le cui regole vengono però, questa volta, costantemente contravvenute (non ci sono paletti di legno né proiettili d’argento né tanto meno il licantropo è ucciso da una persona che lo ama). Molto bella, quasi commovente, la scena della telefonata di David alla sorellina a casa negli States.

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