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High Crimes. Crimini di Stato

Regia di Carl Franklin vedi scheda film

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La recensione su High Crimes. Crimini di Stato

di degoffro
4 stelle

Si riforma la coppia Ashley Judd/Morgan Freeman. Come per "Il collezionista", firmato dall'anonimo Gary Fleder, anche questo "High Crimes" purtroppo è appassionante come un manuale di istruzioni per l'uso di un aspirapolvere. Il regista afroamericano Carl Franklin da curriculum sarebbe piuttosto avvezzo al genere noir/thriller ("Il diavolo in blu", "Out of time", l'ottimo e torbido "Qualcuno sta per morire") ma la sua messa in scena è spesso meno che ordinaria, schematica, incapace di rivitalizzare con uno stile personale ed originale copioni convenzionali e risaputi. "High crimes" sembra più che altro una puntatona diluita della celebre serie militare "Jag - Avvocati in divisa". Colpi di scena telefonati, soluzioni narrative vecchie come il mondo (si fa ubriacare un testimone chiave, circondandolo di donne disponibili e si registra la sua confessione di nascosto), sequenze riciclate (Ashley che fa jogging e una macchina la segue, l'aggressione notturna a casa della Judd con tanto di minacce di morte), coincidenze eccessive ed inverosimili (il testimone della strage in Salvador del 1988 che ricompare all'improvviso, nel finale, giusto in tempo per salvare Ashley dalla violenza del marito folle), passaggi incongruenti, risvolti politici approssimativi così come la rimasticata critica al sistema militare americano (ottuso, omertoso, violento e criminale, in cui l'abuso di potere sembra essere la sola regola vigente), sottotrame superflue (la parentesi sentimentale tra la sorella della protagonista ed il pivello avvocato della difesa non serve a nulla se non ad allungare un brodo già di per sé piuttosto rancido), personaggi al di là di ogni stereotipo (l'avvocato ubriacone in cerca di riscatto su tutti), ritmo sonnolento. A ciò si aggiungano gli svenevoli e pacchiani dialoghi sentimentali tra Ashley Judd e Jim Caviziel, ai limiti del sopportabile, specie il loro primo incontro a San Lazzaro, dopo l'arresto di lui. Una sola battuta da ricordare, affidata a Morgan Freeman: "La giustizia militare sta alla giustizia come la musica militare sta alla musica". La Judd e Freeman sono affiatati e funzionali ma sembrano ripetere in eterno i loro cliché, anche se oggettivamente, a conti fatti, restano l'unico vero motivo di interesse del film. Jim Caviziel invece non è mai stato così amorfo ed insignificante: il ruolo ambiguo e misterioso gli era riuscito meglio nel già comunque non eccelso "Angel Eyes". Qui quando nel finale emerge la sua vera natura di cattivo tocca vette di ridicolo involontario. Un film derivativo, scolastico, inconsistente: il fatto che ogni sua immagine richiami alla memoria sequenze di cento altri film similari la dice lunga sul livello piuttosto basso di un'operazione del tutto innocua ed appassita. "Un legal thriller che sa di muffa, vagamente debitore a Codice d'onore e timidamente in scia alle denunce del Costa-Gavras di Music Box." (Alessio Guzzano). Gli si può dare un'occhiatina distratta in tv mentre si fanno i lavori domestici, ma al cinema sono soldi buttati via. Sceneggiatura di Yuri Zeltser e Cary Bickley dal romanzo di Joseph Finder "Reati capitali". Un milione e mezzo di Euro al box office italiano (81° nella classifica generale della stagione), poco più di 40 milioni di dollari a quello americano. Piccola curiosità: nello script originale il personaggio di Ashley Judd era una stimata professoressa di legge ad Harvard.
Voto: 5

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