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Le invasioni barbariche

Regia di Denys Arcand vedi scheda film

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La recensione su Le invasioni barbariche

di giancarlo visitilli
8 stelle

La strada è lunga e stretta. Tortuosa. “E’ il cammino dell’umana barbarie”, parafrasando Georges Duby di Il sogno della storia. E’ con lo stesso sguardo, cinico e verace, che il franco-canadese Denys Arcand dà inizio a Le invasioni barbariche (Miglior sceneggiatura e Miglior Attrice, Cannes 2003), perpetuando il sogno di una storia cominciata a raccontare sedici anni fa (Il declino dell’impero americano).
Attraverso un lungo piano sequenza iniziale, la stady cam ci porta in un labirinto: l’interno dell’ospedale di Montreal, dove è difficile insinuarsi, camminare, c’è il rischio di calpestare qualcuno, prima che la sanità pubblica ci pensi lei a farlo. Tanto è facile derubare i malati “sono sempre con gli occhi chiusi”. Anche nel civilissimo e ricco Canada.
Percorriamo la strada dei “barbari”, in compagnia di Ines Orsini della Maria Goretti, della tennista Chris Evert e delle tante “zoccole in costume” che saranno l’”alma luce” di un’anima in pena. Qui nulla è sgradito, non v’è differenza tra la leggerezza o la pesantezza, specie se si tratta di droghe. Anche le chiese sono vuote di fedeli e zeppe di “sepolcri imbiancati”, che versano lacrime nell’impossibilità d’asciugarle (straordinaria l’inquadratura dell’immagine di Cristo che piange). Nonostante un papa come Giovanni Paolo II “sinistro”, Rémy è costretto a vivere il senso di una vita religiosa, ma che di qualsiasi religione non ha nulla. Lo dimostra nel breve dialogo con la suora laica, a cui dice: “Che bel quadretto! Eh, sorella? La mia deliziosa, giovane nuora, la mia eroica consorte e le due più irresistibili tra le mie amanti!… Ora posso morire in pace”. “E bruciare per sempre tra le fiamme dell'Inferno!” è la naturale risposta della religiosa. Ma quanto a risposte, Rémy non mostra remore: “Tuttavia non vorrei mai essere al suo posto: condannata a suonare l'arpa su una nuvoletta per l'eternità, tra Giovanni Paolo II e madre Teresa”.
Il cammino conduce all’agonia di Rémy, professore di storia contemporanea, docente in una piccola università canadese, affetto da un cancro in fase terminale. Le invasioni barbariche è la cronaca dell’agonia della storia, della religione e della politica, affette anch’esse dal morbo. E’ la barbarie dell’Occidente, d’un’America che s’aizza contro il popolo degl’”infedeli”, i ‘nuovi barbari’ del 2001, che seguono quelli del 476 di una volta, che segnarono il declino dell'impero romano. I barbari di Arcand sono in doppio petto blu, con armi più potenti di quelle di una volta, soldi-tecnologia-frenesia-omologazione. Tutto è cominciato nel vicino 11 settembre 2001. La barbarie.
A chi è dato capire: a chi ha orecchi intenda? Pare proprio di si. “Cerchi di capire, sorella – afferma Rémy - Ho fatto un figlio capitalista, ambizioso, pudico. Quando io, per tutta la mia vita sono stato un socialista, laico, edonista”. Un invito, quello di Arcand a tralasciare le norme ipocrite del “politically correct”. E’ così ch’è riuscito a realizzare un film commovente e dall’ironia stridente, venato di tenerezza e dall’esigenza di malattia, facendo dialogare fra di loro risate e lacrime: l’antico segreto del cinema. Attingendo dal “coraggio delle idee” di barbari pensatori come Platone, Seneca e Dante, ma anche a noi più vicini: il Primo Levi di Se questo è un uomo, Aleksandr Solzenicyn di Arcipelago Gulag, Cioran di Storia e utopia e i contemporanei Toni Negri di Impero e l’ultimo Michael Moore. Risulta altrettanto difficile vedere Le invasioni barbariche, ignorando una già ben nutrita cinematografia, avente lo stesso tema: The decline of western civilization e Animal House del ‘78, I ragazzi dello zoo di Berlino, La 25a ora, solo per citare alcuni titoli.
La maestria di Arcand nella resa degli attori è qui, più che in altri suoi lavori, impressionante. Tutti i personaggi del film si compensano l’un con l’altro: chi manca della sofferenza ne riceve da chi è affetto dalla voglia di vivere e viceversa.
Le invasioni barbariche è veramente il regalo di natale agli italiani. Che l’avventura nelle sale, per quanto riguarda la proiezione del film, continui, perché c’è il rischio che se il ministro degli Interni andasse a vederlo (magari!), si accorgerebbe che ad essere tirato in ballo vi è anche Berlusconi (trattandosi di barbari…). Non vorremmo che si pensasse ad Arcand come un appartenente ad Al Qaeda. In parte lo è: il suo film è una bomba. Peccato non disinnescarla.
Giancarlo Visitilli



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