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Auto Focus

Regia di Paul Schrader vedi scheda film

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La recensione su Auto Focus

di FilmTv Rivista
8 stelle

Paul Schrader ama le biografie. “Legge” la vita di persone reali e interpreta, attraverso i gesti e le parole, le ossessioni e le zone nascoste, le pulsioni e le perversioni, le trasgressioni morali e i fallimenti, i peccati e le impossibili redenzioni, le mutazioni, i bradisismi, le rivoluzioni (culturali) di una società. La vita poco esemplare e tragica di Bob Crane (Kinnear), personaggio abbastanza celebre della televisione americana (protagonista per alcune stagioni della serie Gli eroi di Hogan, ambientata in un campo di prigionia durante la Seconda guerra mondiale), nonché attore teatrale e cinematografico, è un file, un dossier con il quale descrivere una caduta nella spirale della dipendenza dal sesso e un diagramma, sempre più livido, per quanto riguarda la fotografia, la scansione narrativa, la secchezza stranita dei dialoghi e l’asciuttezza della messa in scena, degli anni (dalla Los Angeles del 1964 all’Arizona del 1978 in cui Crane viene ucciso in un motel) in cui l’identità, la libertà e la promiscuità sessuale, la pornografia, il voyeurismo collettivo cominciamo a imporsi e ad assumere una rilevanza sociologica oltre che individuale. Ci sono vari film importanti e molto interessanti che guardano retrospettivamente al tessuto umano e simbolico dell’America recente e applicano agli anni ’60 o ’70 le tecniche di un’archeologia moderna che scava, con un linguaggio cinematografico di prim’ordine, al di sotto delle eruzioni cutanee, delle macchie, delle malformazioni di un mondo e di un sogno, di un metabolismo e delle sue disfunzioni palesi o occulte. Il tono cambia ma Almost Famous, Prova a prendermi, Confessioni di una mente pericolosa (solo per citare qualche esempio) sono modelli di Cinema e di storie che si differenziano dalla produzione dominante di Hollywood e sono film incentrati su personaggi e su epoche e non su formule. Auto Focus è il romanzo tragico di un egoista, ossessionato dal desiderio di guardare e di guardarsi, di fare sesso e di fissare su nastro la ripetizione anonima, sgranata, meccanica e confusa (nomi, posti e giorni si confondono) del piacere. La storia di Crane è anche la storia teorica di uno sguardo “vizioso” che si trasforma grazie alla tecnologia. L’evoluzione tecnica e i progressi della videoregistrazione affinano e “perfezionano” le scene del desiderio senza un reale appagamento. Le riviste pornografiche nascoste in garage, i locali di spogliarello, la fotografia, i set, la telecamera: l’era della riproducibilità tecnica è l’epoca della riproducibilità infinita, coatta, fosca e afflitta. L’uso cinematografico del discorso diretto e indiretto, gli attori bravissimi e la fondamentale trama parallela (l’amicizia tra Crane e Carpenter), disegnano la degenerazione e il disfacimento di questa nuova “conoscenza carnale” distonica rispetto a immagini sempre più perfette e precise nelle quali un corpo non ha più peso e odore. Potrebbe non esserci.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 16 del 2003

Autore: Enrico Magrelli

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