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Hulk

Regia di Ang Lee vedi scheda film

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La recensione su Hulk

di Rosebud77
8 stelle

Non se ne può più di tutti quelli che per partito preso parlano e sparlano senza buona ragione della moda dilagante che vuole gli eroi di fumetti al cinema. HULK, il gigante muscoloso verde pieno di rabbia, l’ultimo uscito prima che altri ci invadano, è davvero un bel film. Fuori dagli schemi, dalle convenzioni dei soliti blockbuster, dal budget iniziale, fuori da tutto, questo “incredibile” HULK di Ang Lee, che già aveva dato prova ne LA TIGRE E IL DRAGONE di miscelare a dovere romanticismo, dramma, azione e spettacolarità, non solo sfrutta al meglio l’effetto SPIDER-MAN, ma restituisce onore alla carta disegnata attraverso un’analisi profonda dei personaggi e delle loro psicologie come neanche a Raimi (forse perché più attento al lato fantasy) era riuscito di fare.
Il più grande pregio del regista è - paradossalmente, in un film dove tutto, per definizione e a cominciare dallo stesso protagonista, dovrebbe essere “smisurato” - il senso della misura. Lo possiede quando utilizza gli splendidi effetti digitali della Industrial Light&Magic (che però non è la Weta…), quando taglia lo schermo in più riquadri come a dare l’idea della vignetta, quando stacca di montaggio o sfuma sugli oggetti, quando sceglie a suo modo di omaggiare la mitica serie tv dei ’70, quando tra la furia distruttiva del protagonista e il lento ma sicuro incedere della storia sceglie un punto di vista atipico e garbato sulla visione delle cose, quello della lettura psicoanalitica e melodrammatica dei rapporti umani.
Colpe dei padri (un Nick Nolte un po’ caricato, papà del giovane Bruce, colpevole di aver messo al mondo un figlio “figlio” di esperimenti genetici), colpe dei figli (la rivelazione Eric Bana, colpevole di ragionare poco col cuore e di non sapere sempre affrontare come ogni super-eroe che si rispetti il proprio sovrumano potere), colpe del caso (non sempre si sceglie ciò che si vorrebbe essere, a volte dietro ai più grandi drammi si nasconde un terribile e sanguinario errore). Tra tutte le icone di carta o di celluloide che ci vengono in mente, e che in infiniti modi Lee poteva citare, non c’è n’è uno che non soffra della sua condizione, che non si ribelli alla sua forma fisica, al suo ideale o al suo potere. Dolore, sgomento, impotenza per troppa potenza, paura. E rabbia, di quella cieca, vera, che trasforma Bruce in questo Golia braccato anche dall’esercito che lo vuole studiare e poi eliminare, ma in fin dei conti dal cuore eccessivamente tenero. E’ una delle tante possibili chiavi di lettura, certo. Ma il cinema, checchè se ne dica, non è il fumetto. Trasmetterne la complessità è arduo, forse impossibile. Dirigerne un appassionato punto di vista è però altrettanto meritevole di attenzione.
Pur se con qualche melensaggine e allegoria di troppo (lo scontro finale “edipico” di padre e figlio, i ricordi onirici di Bruce), qualche insistito flashback o un paio di azzardate sequenze, assistiamo volentieri per tutti i 140 minuti di pellicola ad uno dei più seri e tesi film ad alto budget mai tratti da un fumetto. Ma c’è sempre leggerezza, soavità: quando Bruce flirta con la sua adorata Betty (una Jennifer Connelly clone di se stessa in A BEAUTIFUL MIND, ma ormai ha un’Oscar in mano…), l’unica in grado di sopportare e capire il peso dei traumi dell’infanzia; quando si gonfia di muscoli e di statura se lo fanno arrabbiare (ragazzi, attenzione ai raggi gamma se avete nel sangue un DNA già instabile); quando vola come una libellula o rimbalza come una palla tra i deserti e i monti del Grand Canyon sfuggendo a elicotteri e cingolati; quando dall’occhio ceruleo del suo faccione minaccioso pare di vederlo piangere come Frankenstein o King Kong.
Chi voleva Godzilla (ma chi..?) resterà deluso, chi voleva SPIDER-MAN attendesse con ansia in sequel, gli X-MEN lasciamoli lavorare per la pace nel mondo. Ogni fumetto ha un suo interprete, ogni interprete un suo gusto. Quello di Ang Lee è notevolmente superiore alla media, mai ridicolo, discretamente affezionato e mirabilmente attento alle sfumature di un genere a lui, regista taiwanese, neanche troppo distante e di cui si vede, e si capisce, essere piacevolmente incuriosito e affascinato. E per la Marvel, come per noi tutti, non è poco.
(Francesco de Belvis, Roma)

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