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Chicago

Regia di Rob Marshall vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Chicago

di Aguirre
4 stelle

Se “Moulin Rouge” aveva radicalmente innovato e perfino stravolto il musical dandogli nuova linfa vitale, “Chicago” lo riporta sui vecchi binari tradizionali. Del resto, il musical rappresentato nei teatri è stato scritto negli anni ’70 e riproposto pari pari da un regista esordiente per il grande cinema, Rob Marshall. Passi che sia un esordiente, ma non che non abbia idee.
La storia: Roxie Heart (Zellweger) è una ballerina di ultima fila che uccide il suo amante reo di averle promesso un contatto con un impresario, mentendole. Finisce in galera e lì le viene consigliato di affidarsi al più influente avvocato penalista dell’Illinois, Billy Flynn (Gere), il quale impronta la difesa su una poderosa campagna stampa orchestrata ad arte per creare un caso e soprattutto per fare di Roxie il centro del gossip cittadino. L’operazione riesce, ma così facendo Roxie si attira le gelosie di Velma Kelly (Zeta-Jones), anch’essa difesa da Flynn e ex ballerina di primo piano del cabaret. Nonostante il progressivo abbandono dell’interesse da parte della stampa, entrambe riusciranno ad evitare la forca e finiranno per diventare colleghe in un duo rappresentato nel più grande teatro di Chicago.
Prima critica.
Come ha recentemente sostenuto sul Corriere della Sera Mario Luzzatto Fegiz, in ogni musical che si rispetti ci sono almeno due canzoni che la gente ricorda e che diventano famose. Francamente qui le canzoni sembrano tutte uguali e alzi la mano chi è in grado almeno di fischiettare un motivo del film. Questo, per un musical, è il difetto peggiore: la carenza di una colonna sonora di forte presa lo condanna già in partenza e lo destina all’assenza dalla “hall of fame” dei musical più importanti.
Seconda critica.
Se la Zeta-Jones è effettivamente dotata di una non comune sensualità, soprattutto quando nel numero di apertura danza in giarrettiera sotto una fredda luce blu, la Zellweger è dotata di un sex-appeal minore delle suole delle mie scarpe. Non bella, ma interessante nel film che l’ha lanciata (“Jerry Maguire”), risulta qui troppo fredda e troppo muscolosa e con una faccia che sembra un pallone, insomma poco femminile. E Gere che balla in canottiera e che alla fine del numero si strappa le mutande davanti al pubblico è davvero un cult del genere trash: povero Gene Kelly, si sarò rivoltato nella tomba!
Terza critica.
Il film non coinvolge mai pienamente e quando si comincia a guardare l’orologio o a sbadigliare è un pessimo segno. Se le canzoni sono inconsistenti e gli attori sono degli inetti, allora si spera di essere coinvolti dalla storia: peccato che qui sia piuttosto imbecille.
Tuttavia non tutto è da buttare: alcuni momenti sono simpatici e alcune critiche a una certa stampa colgono nel segno; e così scopriamo che la Chicago della fine degli anni Venti non era molto diversa dal nostro Paese oggi.
E’ interessante l’uso dei numeri musicali che qui viene fatto: a parte il numero iniziale della Zeta-Jones e quello finale della Zeta-Jones e della Zellweger insieme, infatti, tutti i balletti sono in realtà frutto dei sogni e dell’immaginazione di Roxie.
Ma è troppo poco per permettere a questo musical di passare alla storia o anche solo di essere ricordato: inspiegabili in questo senso i 6 Oscar (tra i quali Miglior Film!!!!) assegnati a questa modesta pellicola, inspiegabile il grande successo di pubblico e di critica, inspiegabili commenti entusiastici di certa stampa, come quello di Tullio Kezich sul Corriere della Sera all’indomani della sua uscita nelle sale, che sosteneva che “Chicago” avrebbe rappresentato un ulteriore superamento dell’idea tradizionale di musical dopo “Moulin Rouge” (ma che film ha visto?).
Il vero musical, infatti, è un’altra cosa.

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