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Gangs of New York

Regia di Martin Scorsese vedi scheda film

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La recensione su Gangs of New York

di FilmTv Rivista
8 stelle

«Chi si sarebbe mai sognato che la guerra potesse arrivare a New York?». E invece, nel 1863, la guerra infuria nelle strade di Manhattan: due anni prima il presidente Lincoln ha deciso di abolire la schiavitù e undici stati del sud si sono distaccati dall’Unione. La guerra di Secessione è lontana, ma gli uomini che vanno a combatterla, i proscritti, i volontari forzati, i pochi che sembrano crederci, partono da tutti gli stati, e soprattutto dagli strati più bassi. Le bare di legno che calano dalle navi (in un’inquadratura drammaticamente sintetica) si incrociano con i soldati in partenza per il fronte. Dilaga ovunque l’odio per i neri, considerati causa della guerra e uccisi e torturati a ogni angolo di strada da ogni etnia newyorkese, e cresce il furore contro le autorità che obbligano alla leva chiunque non possa pagare 300 dollari (e, contemporaneamente, comprano le elezioni, fanno votare i cadaveri, si servono dei peggiori delinquenti per eliminare o sabotare gli avversari). E un giorno il popolo più disgraziato di New York si ribella e insorge. Quattro giorni e quattro notti di orrore, un picco tra i tanti che animano e devastano costantemente Five Points, la zona della città che si estende tra il porto, Wall Street e Broadway, dove gli immigrati vivono ammucchiati, stivati in cunicoli per topi, e si combattono giorno dopo giorno per la supremazia, ladri, assassini, borseggiatori, pirati, prostitute, tirati da una parte o dall’altra da nuovi sindaci, nuovi politici, nuovi ricchi. Five Points era l’inferno, con i gironi orribili del degrado più spaventoso e demoni ghignanti e sanguinari, ma un inferno alimentato dalla compassata ferocia della New York che conta, sempre molto lontana dalla presunta età dell’innocenza. “Gangs of New York”, il film che Martin Scorsese ha voluto fare a ogni costo, ispirandosi al libro omonimo di Herbert Asbury, è l’altra faccia del suo capolavoro del ’93: dove là il cinismo e gli interessi economici dei ricchi e potenti tessevano una tela di ferro per reprimere gli istinti dei loro simili, qua, davanti ai socialmente inferiori, non badano a spese, e la violenza e lo sfruttamento si fanno concreti e fisici. Questo è il tessuto storico su cui scorre “Gangs of New York”, un tessuto reso palpabile dai molti indizi disseminati da Scorsese nelle immagini e nei dialoghi, mentre le bande di Five Points continuano a massacrarsi: a metà dell’800 dominano i Nativi, guidati da Bill il Macellaio, che sono un po’ più ricchi e un po’ più borghesi degli altri, indossano abiti alla moda e si fanno pagare dai politici, ma non sono per questo meno spietati. Intanto crescono gli irlandesi, la feccia del momento, brulicanti e miserabili. Quella che contrappone nel 1846 Bill il Macellaio e Padre Vallon è anche una guerra di religione, Cristiani contro Papisti; una guerra che si riaccenderà quando Amsterdam, il figlio di Vallon, verrà a reclamare vendetta, con quel coltello sulla cui lama il sangue è rimasto rappreso per diciassette anni. Barbaro, estremo e vertiginoso, “Gangs of New York” si regge su una matematica lucidità d’intenti: la Storia dei popoli e delle razze (tutte) è fatta col sangue, coi quarti di libbra strappati dal corpo dei nemici vinti, con le vendette che squassano le generazioni, con l’odio cieco nei confronti di un “altro” (uno qualunque). Ogni corpo esibisce o occulta le proprie ferite: l’occhio di vetro di Bill il Macellaio, le cicatrici sul torace e il marchio a fuoco sul viso di Amsterdam, la triste devastazione del ventre di Jenny, dal quale fu strappato un bambino. Ogni razza conta i suoi morti e ogni città i suoi crateri e i suoi cimiteri. Cento anni dopo, gli irlandesi si saranno affrancati dalla miseria al punto di eleggere il presidente più amato del ‘900 (John Fitzgerald Kennedy). Oggi tocca ai neri altoborghesi contare, e non poco, negli equilibri elettorali del Paese. Il Bene e il Male, il giusto e l’ingiusto, stanno dovunque e da nessuna parte. Tra i personaggi di Scorsese non ce n’è uno che sia totalmente buono o totalmente cattivo: persino Bill il Macellaio ha altezze cavalleresche e tragici momenti di intimismo e dubbio; mentre Amsterdam non esita un istante ad appropriarsi delle armi e della furia oscena di nemici e predecessori. E quando tutto per un attimo si ferma, restano fumo, macerie, silenzio e polvere; e le civiltà risorgono sulle lapidi. Ieri come oggi.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 5 del 2003

Autore: Emanuela Martini

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