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Alien

Regia di Ridley Scott vedi scheda film

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La recensione su Alien

di Immorale
10 stelle

Il senso di Ridley per la paura parte qui. Si sviluppa dal mal di spazio, la lentezza e goffaggine di movimenti che smorza l’impeto, una delle peculiari prerogative umane, di tentare di esplorare l’inesplorabile. Con Kubrick come nume tutelare, quindi, i primi minuti di pellicola sfiorano la perfezione: la camera silente esplora i meandri raccolti della Nostromo, con lentezza, finendo col trovare scintille di vita elettronica, prima, e umana poi, risvegliatasi accidentalmente da un sonno letargico e, infine, raccolta nella ancestrale socialità di un bisbigliare indistinto ma vitale nel vuoto pneumatico circostante.  Da qui la narrazione prende il via adagio, nella sua progressiva “costruzione” della giusta tensione,  fino al primo incontro, dentro le titaniche mura di un’astronave aliena “gigeriana”, con la famosissima, da qui in poi, feroce creatura parassitaria (nell’immaginario collettivo seconda solamente, forse, agli omini verdi). Gli iniziali ignari protagonisti umani (la “musa” della serie acquisirà centralità a minaccia già palesata), hanno le facce stentoree del sicuro Tom Skerritt, dell’adunco John Hurt, dell’irruente (non ancora “scorbutico” pluri-sbirro televisivo) Yaphet Kotto, del mellifluo Ian Holm e del rugoso ottimo caratterista Harry Dean Stanton; tutte figure ben definite, con reazioni plausibili all’ignota minaccia (la paura che blocca alla “nascita” dell’alieno, l’insicurezza sulle contromisure da adottare). Si va poi in crescendo, con la tecnologia che nulla può (o vuol fare) contro la prorompente vitalità della creatura, ma anzi ne amplifica la portata terrorizzante con l’inutile monotono pulsare dei sensori di movimento o del cicaleccio monocorde delle vane risposte dell’oracolo tecnologico Mother. Quando la situazione precipita, la protagonista assoluta diventa, finalmente, l’allampanata Ripley, con il suo emozionante sguardo vitreo nella cornice pallida del suo viso, volitivo e sfuggente al tempo stesso, sotto la prorompente capigliatura scura; lo scontro/caccia nel labirinto meccanico, fatto di fughe, arretramenti e cambi di direzione, ci (mi) regala una delle sequenze che più mi turbò alla prima visione del film: l’inquadratura quasi in soggettiva, della durata di pochi secondi, del gatto intrappolato nel trasportino con il mostro che lentamente incombe su di lui. Sequenza che, chissà perché, mi inquietò parecchio per la sua chiara ineluttabilità circa il destino del felino. L’epilogo dell’impari lotta si svolge nella apparente quiete della capsula di salvataggio, dove entrambi i contendenti si sentono vanamente al sicuro. Dove perfino la bestia dimostra la sua vulnerabilità biologica (anche i mostri dovranno, prima o poi, dormire), prima che le lente ed esasperanti azioni di Ripley lo restituiscano al ventre scuro delle stelle. Capolavoro.

Sulla trama

Claustrofobica.

Su Ridley Scott

Ottimo.

Su Sigourney Weaver

Indomita.

Su Tom Skerritt

Affidabile.

Su Harry Dean Stanton

Scorbutico.

Su Veronica Cartwright

Nervosa.

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