Espandi menu
cerca
Lontano dal Paradiso

Regia di Todd Haynes vedi scheda film

Recensioni

L'autore

Rosebud77

Rosebud77

Iscritto dal 14 maggio 2002 Vai al suo profilo
  • Seguaci 1
  • Post -
  • Recensioni 151
  • Playlist 2
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Lontano dal Paradiso

di Rosebud77
4 stelle

I rispettabilissimi anni ’50 secondo la filosofia pseudo-liberale di Todd Haynes. Come già in SAFE e POISON, il regista respira una malsana aria casalinga che mischia falsità nascoste e struggenti verità col suo stile freddo e raggelato. Solo che stavolta si destreggia niente meno che coi melò di Douglas Sirk e Ophuls, e invece del technicolor rispolvera sapienti scenografie pastello e colori autunnali in simbiosi con gli sconvolgimenti dell’animo (cui dà una mano la funzionale eppur mediocre partitura del grande Bernstein). C’è Julianne Moore, bravissima nel ricordare una Jane Wyman o una Lana Turner madre di famiglia che si invaghisce del giardiniere di colore; c’è Dennis Quaid, apparente padre modello e industriale di successo che scoprirà suo malgrado le gioie della carne omosessuale; e c’è Dennis Haysbert, il giardiniere di colore con figlioletta al seguito marchiato dal razzismo ma sempre in armonia col suo spirito come un gigante buono. Haynes si impegna a farci credere di aver visto e digerito bene il cinema cui si ispira, e che sotto l’eleganza ricercata e formale del suo omaggio al passato (alcuni passaggi di tono e certe dissolvenze sono sorprendentemente in linea col cinema di cui fa il verso, per non parlare dei titoli di testa e di coda) si celano le stesse disillusioni e gli stessi dolori di oggi, ma temi innovativamente esplicitati come il razzismo e l’omossessualità servono da succulento piatto per discussioni sociologiche d’accatto più che da riscatto per il perbenismo cinematografico ipocrita di una volta. E così tra vialetti alberati, foglie al vento, foulard di seta e gonne a palloncino, le passioni sopite trabordano ma non sconvolgono, regna una certa indifferenza per l’impeccabile contorno di figure e figurine e il marcio che immancabilmente si annida in ogni famiglia fa da sfondo solo ad un contraddittorio quanto furbetto esercizio di stile. Tant’è vero che il maritino nel giro di due o tre scene si trova un compagnuccio biondo e chiede il divorzio, il giardiniere non può fare a meno di prendere il treno per scappare dalla provincia dei veleni e l’affranta madre di famiglia si asciuga una furtiva lacrima per ricominciare forse una nuova vita in primavera. Si è certamente lontani dal paradiso, ma anche da una matura consapevolezza di sé. E così gli attori, una volta smessi gli abiti di scena, lasciano il posto solo a splendide scenografie su cui si spengono gli stessi riflettori che al Festival di Venezia avevano immeritatamente accolto in trionfo questo intrattenimento borghese scaltro come uno dei suoi produttori, Steven Soderbergh.
(Francesco de Belvis, Roma)

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati