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Il ribelle dell'Anatolia

Regia di Elia Kazan vedi scheda film

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La recensione su Il ribelle dell'Anatolia

di montyjames
10 stelle

America America, è il titolo originale del romanzo che Elia Kazan scrive tra il 1956 e il 1962. La stesura dura circa 6 anni intervallata da film e lavori teatrali.

Lavorando a stretto contatto con Shulberg, Kazan apprende a strutturare coerentemente i racconti e le scene dei suoi film.

Questa esperienza gli da la possibilità di scrivere qualcosa autonomamente, senza l’ausilio di scrittori esterni.

Finalmente può lavorare alla stesura di una storia basata su una legenda che veniva raccontata nella famiglia di Kazan sullo zio Joe, che riuscì a portare i suoi familiari in America dopo mille traversie e fatti avversi.

Il libro pubblicato alla fine del ’62 ha un discreto successo: Kazan desidera farne un film, credendo nella sua ampia spettacolarità e alla sua forza narrativa.

Decide di scrivere la sceneggiatura basandosi sul suo libro e su un racconto non pubblicato dal titolo “Hamal”.

Il contratto di distribuzione con la Warner era giunto alla conclusione con Splendore nell’erba e Kazan decide di chiudere la sua “Newton Production” passando a una casa di produzione come la Seven Arts Pictures distribuita dalla Warner.

La casa aveva prodotto film indipendenti come quello di Robert Aldrich “Che fine ha fatto Baby Jane.”

I produttori Stark e Hyman accettano la sceneggiatura di Kazan, il regista però non vuole nel suo casting attori famosi. Decide infatti di scritturare attori di teatro newyorkesi e alcuni attori del luogo dove si girerà il film.

Kazan parte per l’europa per un giro promozionale del suo ultimo film Splendore nell’erba. Tiene audizioni a New York, Parigi e Londra ma non riesce a trovare l’attore per il suo protagonista. Tutti gli sembrano troppo belli e troppo professionisti. Kazan ha in mente un altro tipo di viso.

Il regista si reca ad Atene in cerca delle location, riceve una chiamata dal suo agente che lo informa che i produttori della Seven Arts si sono ritirati.

La decisione dei due produttori è da riscontrare dall’indecisione di Kazan riguardo il protagonista e la grande distanza fra Hollywood e la Turchia, anche se le produzioni Americane in Europa in quel periodo erano all’ordine del giorno.

Bloccato ad Atene con la troupe, Kazan va da un produttore greco: li conosce un ragazzo che lavora nello studio dell’uomo come uomo di fatica. Il ragazzo si chiama Stathis Gialleis, Kazan ne è affascianato, i suoi modi e il suo volto gli ricordano quelli di James Dean.

In realtà Kazan vorrebbe portare il personaggio di Stavros sul grande schermo secondo i canoni fisici di Cal ne La Valle dell’Eden. I due personaggi infatti hanno molto in comune, sia fisicamente che psicologicamente.

Kazan porta Gialleis a New York e gli impartisce lezioni di inglese, intanto attraverso il suo agente riesce a ottenere i soldi dalla Warner.

La casa di produzione accetta e Kazan ritorna in Turchia con Gialleis pronto a girare.

Le riprese sono realizzate nella più completa confusione e sotto le spinte del governo turco i cui censori non vogliono che si riprendi le miserie del paese e che vogliono controllare personalmente il materiale girato.

I produttori cercano di fuorviare le autorità non consegnando le pizze originali del film ma consegnando pellicola non esposta. Il resto viene girato in Grecia e il girato viene fatto uscire di contrabbando. America America, si può definire il film più ardito e costoso del regista, il quale ha sempre tenuto alta la bandiera del low budjet. Il film non ha un buon successo commerciale in America mentre in Europa il film è accolto favorevolmente soprattutto in Francia e Spagna dove al Festival di San Sebastian viene premiata la regia di Kazan.  

 

Mai Kazan ha tentato di ricostruire un soggetto cosi lungo e ambizioso e così complesso. Uno studio volto a ricostruire una dimensione archeologica umana di origini arcane. Un apologo sulla disperata lotta per la sopravvivenza, una viaggio di rinnovamento, risurrezione e purificazione, ma soprattutto la perdita dell’innocenza e della propria identità.

Kazan spreme la tragedia e ne fa uscire la materia: la dialettica dell’Origine e dell’identità socio culturale.

Abbandonando la classicità di Splendore nell’erba e le sue strutture pianificate, Kazan narra con maestria ormai adulta, un odissea di iniziazione e maturazione dove il discorso narrativo si unisce al picaresco, dove i quadri frammentari del viaggio di Stavros si uniscono al movimento vertiginoso della storia.

Questa storia così superbamente narrativa ha una tale valenza simbolica da sottrarsi ad ogni lettura unitaria. Essa richiama nei suoi personaggi ogni tipo archetipo morale:( il rivoluzionario Vartan, l’infido Abdul, il fatalista Garabet, la virtuosa Thomna, la viziosa Sophia Kekabian, il sacrificale e l’idealista Hohannes e il cinico Joe Arness).

Kazan usa i vari volti di un’umanità varia e eterogenea dove la funzione di ognuno spinge Stavros ad una svolta, ad un rafforzamento psicofisico ma altresì ad una perdita morale e d’identità.

Stravros è uno dei personaggi più sfaccettati di tutta la filmografia del regista.

In esso troviamo tutti gli elementi del tipico personaggio Kazaniano: la giovinezza, l’idealismo, la forza d’animo, il ribellionismo, la determinazione, la violenza, la scaltrezza, la sessualità come prevaricazione, la fascinazione. Stavros si differenzia però dai personaggi maschili di Kazan per un suo cinismo di fondo. Come Zapata, Cal o Terry Maloy, Stavros si sacrifica per una giusta causa ma non ne esce maturato come i suoi predecessori, ma altresì spogliato, deturpato persino del suo nome e della sua identità. Sta qui l’inversione iconoclastica del personaggio protagonista, esso non è più un eroe che cerca attraverso l’esperienza di migliorarsi e di innalzarsi ma lascia che l’esperienza lo deturpi e lo levighi: come l’osso di seppia montaliano.

Stavros sa fino in fondo di essere diventato corrotto: uccide, sposa un’ereditiera, fa il gigolo con la moglie di un potente per poter andare in America. Perde ogni sua moralità per sacrificare il suo idealismo, rappresentato dall’amico Hohannes vero e proprio specchio dell’anima di Stavros. Hohannes è un non personaggio, come lo sono tutti i personaggi all’interno del film. Essi sono ombre accennate che camminano con Stavros rimanendo solo volti e non persone.

In questo film costruito con amore filologico: Kazan parla del passato, ricostruisce la storia, (fa opera di etnologo nel ricreando ambienti e costumanze della sua terra), volta con ostinazione alla ricerca di un impossessamento. Com’è ostinato il personaggio di Stavros nel tentativo di              

giungere alla meta prefissata, tanto più Kazan riesce con ostinazione a costruire una storia mitica dove il mito non funziona per addizione ma per sottrazione. In un certo senso America, America è il progetto di recupero di una Perdita che si da come irreparabile. Emblematica la sequenza sulla nave dove il signor Kekabian pianta uno specchio sulla faccia di Stavros e lo sfida: Credi che tuo padre ti riconoscerebbe? Stavros non si riconosce è già un uomo senza volto, presto perderà anche il suo nome il suo legame supremo. Perderà anche la sua stessa vita perché prenderà le sembianze di un morto.

 

Kazan definisce questo film, il suo preferito, fra tutti quelli che ha realizzato nella sua fortunata carriera.

In un certo senso si ha la sensazione nel guardarlo, di un film che trasuda passione, ostinatezza, innovatività, coinvolgimento.

Prima di tutto è l’unico suo film non girato in America; Kazan riscopre il vecchio continente e ne spreme tutta la sua arcaicità.

L’Asia minore è vista come un Eden primordiale dove si trova l’origine del mito, un posto azzeccato per raccontare l’inizio di una leggenda mitica.

Kazan sa scegliere le location e la ricostruzione degli ambienti è quanto mai accurata. Le scenografie premiate con l’Accademy di Gene Callahan riescono a dare una verosimiglianza tangibile ai diversi mondi in cui entra in contatto Stavros. Dalla casa povera dei genitori, agli ostelli fatiscenti sulla via per Aldebaran, dai negozi di tappeti a Istanbul ai sotterranei nascondigli dei rivoltosi, dalla casa borghese di Thomna, all’albergo lussurioso dei coniugi Kekabian. 

Mai si era fatto nel cinema americano di quel tempo un film pieno di tanti luoghi e personaggi diversi, un film ardito e difficile da realizzare soprattutto, se si pensa che sia stato girato in un territorio impervio come l’Asia Minore.

Tuttavia Kazan riesce a restituirci con disinvoltura magistrale un mondo arcaico e misterioso, visto quasi sempre attraverso un occhio documentaristico e accurato.

Una gran parte della pellicola possiede un forte impianto narrativo di genere documentaristico che viene alternato sapientemente alla finzione.

I due elementi narrativi sono sposati alla perfezione e non vi è attrito.

Il viaggio avventuroso di Stavros viene raccontato esternamente come se si volesse documentare un fatto di cronaca, l’uso sistematico della macchina da presa a spalle, favorisce un linguaggio più spoglio e concreto.

Se Splendore nell’erba rappresenta per Kazan l’apogeo del periodo classico del regista, con America, America c’è un ribaltamento dello stile di ripresa e di composizione classica dell’inquadratura.

Il cambiamento da un cinematografer di razza come Boris Kaufman a uno più innovativo come Haskell Wexler, dà la possibilità a Kazan di trovare diversi modi di impostare un’inquadratura e gestire nuovi movimenti di macchina. Wexler si può definire il Raoul Coutard del new american cinema. Direttore della fotografia di molti film indipendenti all’inizio degli anni 60, porta al cinema di quel periodo quel rinnovamento formale di composizione fotografica derivata dalla nouvelle vague europea. Wexler viene ricordato soprattutto per l’ottima fotografia premiata con l’ultimo oscar dato per film in bianco e nero con Chi ha paura di Virginia Woolf del 1966.

Gli attriti fra il regista e l’operatore, attribuiti ai diversi modi di composizione dell’immagine portano Kazan a misurarsi con un nuovo modo di ripresa e di composizione dell’inquadratura.

Kazan con questo film abbandona drasticamente ogni elemento classico del cinema degli anni 50 con una regia più asciutta, senza l’enfasi figurativa che era abituato a mostrare ai suoi spettatori. Sporcando lo stile, Kazan,  realizza una diversa concezione registica e narrativa portando la sua iconoclastia verso un periodo narrativo più maturo e moderno.

Il lavoro fotografico di Wexler è folgorante, i chiaroscuri netti e precisi, gli alti contrasti e l’uso di luci dirette sui volti degli attori soprattutto negli interni dove i fasci di luce vengono indirizzati in maniera verticale dall’alto verso il basso. Da citare la scena del tabarin tra la signora Kekabian e Stavros con chiaroscuri violenti netti e precisi.

Ma soprattutto movimenti di macchina morbidi e precisi, l’utilizzo innovativo dello zoom per i particolari e la macchina a mano, sapientemente utilizzata per descrivere i passaggi di Stavros per le strade deserte di Constantinopoli .

Stathis Gialleis come ogni scoperta di Kazan si dimostra la carta vincente del film. Questo James Dean greco dagli occhi tenebrosi ricalca perfettamente la figura di Stavros anche non essendo un attore professionista come il suo predecessore americano. Questo da ragione a quella massima, che un attore al cinema deve essere soprattutto personaggio e Gialleis lo è in tutto e per tutto. I gesti i modi l’andatura ma soprattutto lo sguardo mostrano l’assoluta bravura di Kazan nell’utilizzare prima di tutto il modello e poi l’attore. Gialleis non essendo da Actor’s Studio recita misuratamente diretto in questo da un accorto Kazan che sa far misurare le battute ai suoi attori. Gli altri attori sono perfetti e la scelta di casting risulta oltremodo ottima in un film composto sopratutto da volti e non da personaggi a tutto tondo. Fra tutti si distingue Gregory Rozakis nella parte di Hohannes, un volto che vale già tutto il suo personaggio.

America, America rappresenta forse l’ultimo vero capolaro della filmografia Kazaniana. Un film che rappresenta un cambiamento di rotta verso un cinema più moderno e più personale. Kazan con questo film abbandona le storie impersonali di un’America vista con l’occhio sociologico e incomincia una fase di introspezione personale che gli darà la possibilità di spiegare a se stesso e agli altri un suo discorso itinerante volto alla conoscenza di se stesso. Per fare questo, Kazan realizza in America America un suo percorso all’indietro per poter spiegare a se stesso e ai suoi avi la sua realta di americano naturalizzato: esaminando autobiograficamente quello che sarà il suo Compromesso.      

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