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Rashômon

Regia di Akira Kurosawa vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Rashômon

di giansnow89
9 stelle

Pietra miliare.

Rashômon è un film talmente moderno e inconsueto che non ci stupiremmo affatto se trovassimo "Quentin Tarantino" alla voce regista al posto di "Akira Kurosawa". Ha influenzato decenni di produzione cinematografica con il suo intreccio destrutturato e la sua diegesi a scatole cinesi. E' stata la pellicola che ha consegnato Kurosawa al jet set del cinema occidentale estrapolandolo dal contesto nipponico ed ergendolo a regista universale.

 

Come noto, il soggetto del film (tratto da 2 distinti racconti del giovane Ryunosuke Akutagawa) è l'omicidio di un samurai (Mori) in un bosco ad opera di un brigante (Mifune), misfatto di cui esistono diverse versioni una diversa dall'altra. Il film ruota attorno a una duplice struttura triangolare. Un triangolo, piuttosto statico, è quello dei personaggi esterni al fatto, che ne discutono fra loro: un boscaiolo, un monaco e un viandante. Il boscaiolo e il monaco sono a conoscenza dell'episodio in quanto l'uno ha ritrovato il corpo del samurai nella boscaglia e l'altro è stato l'ultimo ad aver visto il samurai in vita: insieme hanno assistito agli interrogatori da parte della polizia a tutte le persone informate sui fatti, e riferiscono le circostanze al viandante. Il tutto in un tempio fatiscente, al riparo da una incessante pioggia battente. Il monaco rappresenta la disillusione, la rassegnazione riguardo alle cose umane: è un uomo che ha perso la fede. Il boscaiolo invece è lo sconcerto, e si affretta a negare continuamente ciò che il monaco racconta, ritenendolo in cuor suo impossibile. Infine, il brigante è l'uomo in quanto uomo: non è né rassegnato né allibito, ma anzi bolla tutto quanto accaduto come normale amministrazione. E' un uomo che ha smarrito l'idea del bene, che appoggia l'egoismo e la bugia come mezzi di sopravvivenza indispensabili per gli esseri umani. Egli richiama quasi i prigionieri del mito della caverna platonico: in mezzo a tutta quella pioggia, ha perso di vista il sole (il bene) che fa capolino giusto quando egli va via, irradiando taglialegna e monaco di una nuova esile speranza. 

 

Il secondo triangolo è invece dinamico in maniera quasi stordente. I protagonisti sono quelli del fattaccio: il brigante, il samurai e la donna contesa. L'unico particolare comune a tutti i racconti è l'antefatto: il brigante, per la brama di conquistare la donna, inganna il samurai attirandolo nel bosco e lo lega. Noi conosciamo i 3 personaggi solo per interposto racconto, doppiamente o addirittura triplamente: il monaco riferisce le testimonianze del brigante, della donna e di un medium che a sua volta raccoglie la verità del morto. E' un macabro telefono senza fili, un virtuale gioco di specchi, che invariabilmente non può che essere fallace, portatore di falsità. Alla testimonianza indiretta del monaco si associa quella finale del falegname, che solo in quel momento confessa di aver visto come è andato l'intero episodio, e, manco a dirlo, introduce una quarta versione divergente in tutto (o quasi?) dalle altre. A seconda del narratore, il brigante ci appare vuoi uno spietato assassino, vuoi come un uomo fino a mai giusto o un coraggioso o un codardo; la donna appare volta per volta una persona d'onore o opportunista o feroce o spaventata; il samurai similmente sembra una volta degno della sua onorevole nomea, una volta vigliacco e l'altra volta aguzzino della moglie che non aspettava altra occasione che liberarsene definitivamente. Ci sono uno spezzettamento, una frammentazione, come nemmeno troppo argutamente notato da molti, delle personalità ed un relativismo squisitamente pirandelliano; l'uomo è uno, o nessuno, o centomila persone insieme. Quale delle versioni è vera? Forse tutte o forse nessuna, forse tutti abbiamo la nostra verità personale, che non coincide con quella altrui, perché una verità assoluta non esiste. E se esiste è comunque incomunicabile agli altri. E' un film, Rashômon, che delega allo spettatore l'incombenza di costruirsi una sua versione dei fatti, magari la quinta, e poi di idealmente riportarla ad altri, e aggiungerne così una sesta e una settima e un'ottava, in una spirale senza fine. E in un mondo come quello attuale fatto di fake news, di notizie di parte, di omissioni volontarie (che non sono nient'altro che evoluzioni 2.0 di schemi umani consolidati perché il mondo è sempre uguale e non cambia mai) non è forse attualissimo il messaggio di Kurosawa (almeno, uno dei tantissimi deducibili da questo film)?

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